Una prece per tutti (altro che polemiche)

Ci vuole della voglia, come si dice dalle mie parti per indicare un impegno spropositato riversato su una cosa. Ad esempio, ci vuole della voglia a polemizzare sulle Messe, sui funerali... Come se non si fosse tutti noi poveracci che in fondo un funerale, di qualunque genere, o una preghiera o qualcosa di simile speriamo di meritarcela e che qualcuno la faccia sul nostro andar via di qui, senza che nessuno stia lì a piantar grane... Invece in quest’epoca malmostosa d’Italia c’è chi ha voglia di polemizzare e ri-polemizzare pure su Messe e funerali.
L’occasione, dopo il caso di Dalla, sarebbe data – a leggere Il Foglio, Il Fatto e il Giornale – da una Messa che per il centenario della nascita di Antonia Pozzi, giovane di talento poetico morta suicida, ha celebrato il cardinale Ravasi. Da punti di vista diversi i tre vogliosi polemisti accusano Ravasi – uno che riuscirebbe pure a farsi amare dal suo boia, tanto è amabile – e con lui la Chiesa di usare due pesi e due misure. Veneziani sul Giornale e Guarini sul Foglio vedono il rischio di creare delle differenze tra i suicidi.
Ma la differenza non la fa Ravasi che celebra la Messa. La fanno coloro che chiedono o non chiedono una Messa in memoria per un morto. Messa che (suicida o no) si può sempre fare. Politi invece schiuma la sua rabbia per una Chiesa sempre più fossile (peccato che i giovani seguono più la Chiesa che i miti di Politi) e spara: per Welby neanche il funerale, per la Pozzi addirittura la Messa. Ma come, mi domando io che teologo non sono e anche un po’ anticlericale poeta e romagnolo, ma una volta gli anticattolici erano gente di cervello fino, che sapeva far distinzioni, anzi che accusava proprio i cattolici di cervello all’ingrosso...
E invece questi – presi dal povero orgasmo di polemizzare – vanno giù grezzi. Intanto, perché se paragonano Welby e la Pozzi significa che intendono pure il primo come suicida, e dunque vanno a ramengo tutte le loro supposte differenze tra eutanasia e suicidio. In secondo luogo, perché volendo parlare (per quanto male) di un soggetto come la Chiesa dovrebbero sapere la differenza tra funerale e Messa di suffragio o in memoria. Infine, anche un bambino comprende la differenza tra un atto compiuto in modo pubblico, dichiarato, con tanto di conferenze stampa e di campagna sponsorizzata da politici e media, e il gesto solitario e disperato di una ragazza da sola in un campo.
Nel primo, c’è evidentemente, coscientemente – e rispettabilmente, aggiungo – un’azione polemica "contro" quel che la Chiesa afferma sul valore della vita. E contro quel che tanti altri malati nella stessa condizione stavano e stanno testimoniando. Nel secondo caso, si ha un offuscamento disperato della voglia di vivere. Forse momentaneo e, comunque, non teoricamente affermato come valore. Entrambi i gesti, è naturale, meritano rispetto e comprensione. Ma la Chiesa non usa due pesi e due misure, come vorrebbero i suoi ansimanti detrattori. Ne usa miliardi. Una misura diversa per ciascuno di noi, accogliendoci e trattandoci ciascuno come persona diversa dalle altre, unica e irripetibile. Arrabbiarsi perché un prete dice una Messa in memoria per l’anima della Pozzi – che all’esistenza di tale anima credeva e che amava Dio – è sinceramente patetico. Se tanto ci tiene, Politi, la faccia dire per l’anima di Welby. Può farlo. È permesso, anzi consigliato, dalla Chiesa. Perché non lo fa?
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