Una legge (che resiste) riscritta dai giudici

La legge italiana 40 del 2004 vieta «il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo». Cioè: l’utilizzo «a fini procreativi di gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente». Dice inoltre: possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi». La norma è stata combattuta fin dall’inizio, prima di tutto per ragioni mediche, poi sociali. Già pochi mesi dopo l’entrata in vigore, i Radicali e l’associazione Luca Coscioni avevano lanciato una raccolta di firme per un referendum abrogativo totale, poi trasformato in quattro quesiti referendari, confluiti nella consultazione del giugno 2005, con esito negativo per mancato raggiungimento del quorum.
Da allora, in sostanza la legge è stata in buona parte cambiata a colpi di sentenze, in tutto una ventina, la prima proprio del 2004, del Tribunale di Cagliari (il giudice consentì una riduzione embrionaria per possibili rischi, in caso di gravidanza plurima, alla donna che ne aveva fatto richiesta), un’altra del 2007, sempre a Cagliari, sulle linee guida: si consentì la diagnosi preimpianto, per conoscere lo stato di salute dell’embrione. Insomma, un traguardo dopo l’altro, la "40" resiste a metà, ma questo basta a far sì che migliaia di coppie italiane vadano all’estero a fare non soltanto quello che qui è illegale e lì diffusissimo e normale, ma anche a tentare tecniche ammesse nel nostro Paese, perché spiega uno studio dell’Osservatorio nazionale sulla procreazione assistita, «i pazienti hanno difficoltà a reperire informazioni chiare sulle legge e le modifiche avvenute in seguito alle numerose sentenze, e c’è scarsa fiducia nelle possibilità di ricevere "a casa" trattamenti adeguati». E se i problemi esistono per le coppie eterosessuali, sono ovviamente amplificati per quelle omosessuali.
La politica non è capace neppure di trovare un accordo-base sulle unioni di fatto, se ne infischia del paese reale, «in materia di diritti civili, siamo il fanalino di coda non solo nell’Ue ma nel mondo», dice Ivan Scalfarotto, deputato del Pd. «Siamo preoccupati, abbiamo appreso che è in preparazione un disegno di legge volto a regolamentare le unioni di fatto, incluse quelle omosessuali, escludendo però esplicitamente la possibilità di adottare il figlio del partner qualora non abbia già un altro genitore», dice Giuseppina La Delfa, presidente di Famiglie Arcobaleno, «ma non abbiamo idea di quali siano le reali intenzioni dei parlamentari, siamo nel buio totale, vogliamo ricordare che l’opzione per una "civil partnership" che includa questo tipo di adozione, è una misura minima se si vuole garantire tutele giuridiche e legami affettivi ai bambini nati entro moltissime delle nostre famiglie».
L’associazione dei genitori omosessuali ha 783 soci, 290 uomini, 493 donne, 252 bimbi (197 con genitori mamme, 52 con genitori papà). Gli aspiranti genitori sono 449, i genitori con figli provenienti da precedenti relazione eterosessuali sono il 5 per cento, il 9 per cento dei soci sono persone sole. In Sardegna gli iscritti sono sette: due coppie di donne, una di uomini e un babbo single. (cr. co.)
© 2014 L'Unione sarda. Tutti i diritti riservati
SU