Una credibilità da rafforzare

La Bce di Mario Draghi ha fatto il passo più importante per arrestare il processo di lenta ma inesorabile disintegrazione dell'euro maturata sotto la cappa nebbiosa di un confuso triennio di crisi. Oltre che a fornire un aiuto «iper-condizionato» ai Paesi più colpiti come Spagna e Italia, il piano Draghi per fermare la divaricazione degli spread nell'eurozona punta a riassorbire gradualmente la frammentazione dei mercati che ne deriva, perché nociva alla trasmissione della politica monetaria unica e quindi, alla lunga, alla tenuta stessa della moneta unica. Troppo presto, però, per tirare un sospiro di sollievo.
La Bce ha fatto la sua parte, ma la strada per recuperare la stabilità e la credibilità dell'euro sarà comunque ancora lunga e piena di trappole. Ora la parola passa ai Governi. Ai giudici della Corte di Karlsruhe. Agli incerti elettorali, olandesi e non.
Questa che comincia sarà una settimana di passione per l'Europa. Mercoledì 12 il giorno fatidico che potrà aggiungere segnali positivi a quelli lanciati dalla Bce oppure invertirli, facendo ripiombare il club nei suoi giorni più neri.
La prima grande incognita passa per la sentenza della Corte di Karlsruhe, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità o meno con la Costituzione tedesca di Esm e Fiscal compact - fondo salva-Stati permanente l'uno, patto di stabilità iper-rigorista l'altro -, cioè dei due strumenti indispensabili per risanare l'euro malato di un eccesso di scompensi, eterogeneità e divergenze strutturali.
Le previsioni della vigilia dicono che i giudici tedeschi non affonderanno l'Esm. Però potrebbero aggiungere nuovi paletti al suo utilizzo, di fatto complicandone la gestione, l'efficacia e la tempestività di intervento. Quando alla fine diedero il nulla osta al Trattato Ue di Lisbona, gli uomini di Karlsruhe posero già delle condizioni: di fatto commissariando il Governo tedesco, ogni volta sottoposto nelle sue decisioni europee all'avallo obbligatorio del Bundestag. Si ripeterà questo scenario?
La seconda incognita si chiama Olanda. Un tempo europeista di ferro, il Paese ha perduto da anni gli antichi ardori. Incassò malissimo lo shock del tradimento del patto di stabilità nel 2003 da parte dei tedeschi, da sempre rigoristi quanto gli olandesi. Da allora l'Olanda non si è mai più riconciliata con l'Europa, maturando invece un euroscetticismo sempre più diffuso. Le elezioni di mercoledì diranno quali sono oggi gli umori prevalenti all'Aja. Fino a pochi giorni fa, in testa ai sondaggi compariva il partito socialista, anti-europeo e anti-rigore. Ora sembra che quello laburista, filo-europeo, sia in forte recupero.
Se l'Olanda rientrerà davvero nei ranghi della sua tradizione, le già troppo complesse dinamiche europee avranno un problema in meno da affrontare, in un momento in cui si stanno facendo i giochi per la ricostruzione del futuro dell'Unione. La crisi ha dimostrato che la malattia dell'euro non si guarisce con palliativi più o meno tardivi e improvvisati. Ha bisogno di una soluzione radicale, lungimirante e coraggiosa.
La Germania di Angela Merkel propone l'unione delle politiche di bilancio, affiancata dall'unione bancaria per arrivare alla fine all'unione politica. Per questa strada, cioè europeizzando le politiche economiche, sociali, fiscali e di spesa, in futuro si potranno europeizzare anche i debiti. In breve, si potrà fare dell'euro una moneta normale.
Salvo sorprese, a dicembre scatteranno i negoziati a 27 per una nuova modifica dei Trattati Ue. Rifondazione, modernizzazione e rilancio del progetto europeo sono necessari e urgenti. Ma il traguardo è molto ambizioso. Comporta pesanti rinunce alla sovranità nazionale in settori sensibili come le leve della spesa pubblica. Non è chiaro se tutti gli Stati membri sono disposti a giocare la partita. Diffidenze e sfiducia reciproca cresciute all'ombra della crisi dell'euro non aiutano. Però, se si vuole davvero salvare la moneta unica, non ci sono alternative.
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