Un ginecologo combattente

Non sono un fanatico che fa le crociate contro la Chiesa, anzi quest’anno ho mandato un paio di pazienti al consultorio del Movimento per la vita perché mi sembrava evidente che il bambino volevano tenerlo. Sono diventato una specie di celebrità da barricata solo perché ho chiesto di sperimentare una tecnica che in Francia è usata da decenni: vi ricorrono il 50% delle donne che vogliono interrompere la gravidanza. Abbiamo cominciato la sperimentazione nel 2005 con il consenso della regione Piemonte, ma l’allora ministro Francesco Storace ci bloccò.
A noi del Sant’Anna è toccato anche un procedimento penale, archiviato. Allora facemmo una cordata con Trento, Toscana, Emilia Romagna. Io andavo a prendere le scatole di Ru 486 a Pisa. Non tolleravo quella che si chiama «Bad practice», il ricorso a un metodo più arretrato e pericoloso quando è possibile evitarlo. L’intervento farmacologico riduce il rischio di due o tre volte. Nel 2010 lo abbiamo utilizzato con più di mille donne, il 25% delle Ivg. Lei mi dice che i movimenti cattolici lamentano le 400 mila presunte interruzioni dovute alle pillole del giorno dopo o di cinque giorni dopo? Ma lo sa che in Francia se ne fa un uso almeno doppio, che sono il doppio gli aborti veri e propri e anche il doppio i bambini che nascono? Perché? Non ho una spiegazione scientifica. Forse siamo un Paese depresso dove si fa poco l’amore.
© 2013 La Stampa. Tutti i diritti riservati
SU