Un epilogo ritardato

L'epilogo non è mai apparso tanto vicino come ieri sera. Renata Polverini è stata a un passo dal gettare la spugna, dal dire addio ai sogni di «poter rialzare la testa».
Lo aveva sperato ancora sabato pomeriggio, con un'euforia già fuori luogo, alla sagra del vino incitando i suoi sostenitori di Velletri.
Domenica sera, dopo ore concitate, non sono arrivate decisioni definitive. E così una delle vicende più brutte e umilianti della Regione Lazio resta ancora aperta. Renata Polverini continua a resistere: eppure è una scelta che ha un prezzo. Renata Polverini che solo lunedì scorso aveva sfidato la sua maggioranza, ormai devastata dalla guerra interna, e tutto il consiglio regionale da 103 milioni all'anno a fare pulizia, che aveva cercato con il suo discorso drammatico sulla Concordia e sui tumori di separare il suo destino da quello dei Fiorito da Anagni, è stata travolta come loro.
Travolta non tanto dalle carte della Procura (le indagini non l'hanno toccata, né lei né il suo gruppo) che inguaiano la maggioranza, ma dalle critiche sgomente della Chiesa che l'aveva sostenuta in campagna elettorale contro Emma Bonino, dall'altolà degli imprenditori, dalle faide interne al suo partito, dalla fragilità politica del suo alleato più importante, l'Udc. E anche dall'opposizione che, pur senza numeri per far dimettere il consiglio, ha trovato in questa situazione un'insolita unità: oggi il consiglio resterà monco con quasi metà dell'aula dimissionaria. Una situazione che fotografa plasticamente l'impossibilità di resistere ancora a lungo.
In questa settimana, dal discorso della Concordia a ieri, si è scoperta non solo la dimensione del sistema di abuso dei soldi pubblici per impegni politico-personali dei consiglieri. Ma si è alzato il velo su un certo modo di intendere le istituzioni. Le foto della festa imperial-cafonesca di De Romanis per celebrare la sua elezione a consigliere resteranno come il sigillo di questa vicenda, qualsiasi ne sia la scena finale. E avrebbero dovuto suggerire l'epilogo anche ai più convinti sostenitori della giunta: può un rappresentante delle istituzioni vestito da Ulisse chiedere ai cittadini di tirare la cinghia per risanare i conti, di rinunciare ai posti letto negli ospedali pubblici, di non indignarsi se per andare al lavoro usare i mezzi pubblici diventa una prova di abilità?
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