Un bambino in fuga dagli orrori della guerra

Un bimbo perduto nel deserto giordano, ai confini con la Siria in fiamme, che cammina con la ostinazione degli innocenti alla ricerca della sua famiglia smarrita. Questa storia di profughi ha un lieto fine: una squadra delle Nazioni Unite che lo incontra, per caso, e lo salva. E i genitori che, alla fine, lo stringeranno tra le braccia. Ma nessuna immagine, credo, tra le migliaia che sono state scattate in questa guerra infernale sintetizza la profondità di quella tragedia che dura ormai da tre anni. Perché non c’è sangue, non ci sono morti, non ci sono rovine. Un bambino e l’immensità della sua disgrazia, del Nulla in cui lo hanno cacciato i mali degli uomini: niente altro.
La Siria è la quotidianità di questa sofferenza infinita, il carattere atrocemente normale della disperazione di milioni di esseri umani, di tutte le parti in conflitto. E di coloro che non hanno scelto, che non hanno potuto scegliere, come questo bambino, di nome Marwan. A Ginevra, negli inutili, sconfortanti colloqui di pace tra le parti in conflitto e i loro burattinai, nessuno ha parlato di questo bambino, nessuno ha pensato che quello di cui si stava discutendo era esattamente questo: lo scandalo quotidiano della sofferenza. Che ogni parola inutile ogni secondo perduto, ogni schermaglia politica, da tre anni! si trasformava immediatamente in altre vite perdute, in altri bambini privati del loro diritto: quello di giocare, studiare leggere diventare grandi. Non morire.
La notizia del bambino che attraversa da solo il confine fra la Siria e la Giordania nasce dal contenuto di un tweet di Andrew Harper, rappresentante dell'UNHCR per la Giordania, pubblicato domenica 16 febbraio ed equivocato da molte testate, non solo nazionali. Il bambino era stato solo «temporaneamente separato dalla sua famiglia» e in attesa di ricongiungimento: nei giorni successivi, lo stesso Harper ha diffuso nuovo foto per dimostrare che il bambino era rimasto solo indietro per qualche minuto. (fonte il post)
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