Tutti insieme per il Tibet

L'ultimo della catena è stato Tenzin Phuntsog, religioso tibetano di appena quarant'anni. Sposato, padre di due bimbi, si è dato alle fiamme nella regione di Chamdo, dove si trova il monastero Karma. Si è immolato in nome del Tibet libero. Come altri undici, tra monaci e suore, che prima di lui che si sono determinati all'estremo gesto in quest'ultimo anno. Di loro oggi non restano che poche fotografie e qualche spezzone video, reso interminabile dalla tortura delle fiamme. Uomini di pace che hanno deciso di morire come torce umane. Dei passanti che sono obbligati dalla legge cinese a non assistere chi si immola. E della stampa internazionale che li ha condannati all'indifferenza anche nella morte.
Sono queste le ragioni che hanno spinto gli organizzatori di "Insieme per il Tibet", ad aprire il meeting di solidarietà verso la causa tibetana con queste immagini cruente. Un modo per abbattere il muro dell'omertà. E di lanciare un segnale al governo cinese, attraverso la piena partecipazione della politica nazionale. All'incontro voluto dalla fondazione Liberal che si è svolto ieri alle 14 nell'aula dei gruppi parlamentari della Camera, sono ospiti d'onore Penpa Tsering, presidente del Parlamento tibetano in esilio e il lama geshe Gedun Tarchin, responsabile dell'Istituto di Cultura LamRim di Roma e uno dei maggiori studiosi delle pratiche religiose del buddismo tibetano. Ma a sostenerli c'è un'ampia rappresentanza parlamentare italiana, finalmente compatta in nome di una causa senza colore politico: da Matteo Mecacci, deputato radicale eletto nelle file del Pd e presidente di Intergruppo per il Tibet, al deputato dell'Api, Gianni Vernetti. E ancora il leader Udc, Pier Ferdinando Casini, il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto e il deputato centrista Ferdinando Adornato che ha promosso l'evento. È lo stesso presidente della fondazione Liberal ad aprire il convegno, rivolgendo un affettuoso saluto a Penpa Tsering e al lama geshe Gedun Tarchin. «Anche se l'Italia vive un momento difficile, non abbiamo voluto farvi mancare la nostra solidarietà», dice Adornato.
«L'Udc si è impegnata a chiedere la fine della repressione con una risoluzione firmata da tutto l'arco parlamentare. Il Tibet non chiede l'indipendenza ma l'autonomia. Ed è venuto il momento di sollecitare la ripresa dei negoziati con il governo cinese che sono stati interrotti nel 2010. Libertà e solidarietà verso tutti i Paesi op- pressi sono valori che appartengono alla tradizione italiana», prosegue il centrista. «Nel tempo in cui i media decidono che cosa è reale, c'è il rischio di credere vero soltanto ciò che viene mostrato. È per questo che abbiamo deciso di aprire questa manifestazione con le drammatiche immagini delle immolazioni. Dignità e libertà di culto devono diventare una priorità dell'agenda mondiale», conclude Adornato. La parola passa poi al lama geshe Gedun Tarchin, responsabile dell'Istituto di Cultura LamRim di Roma. «Libertà è solidarietà», spiega il monaco buddista, «e la libertà è indispensabile perché è il fondamento dei diritti umani. I video delle immolazioni rappresentano qualcosa di nuovo nella storia del Tibet. Sono il segno di una situazione giunta al punto limite. Non ho parole per ciò che la mia gente sta vivendo. I monaci lanciano al mondo un grido d'allarme». Un fragoroso applauso sottolinea l'intervento di Tarchin, che ringrazia tutti a mani giunte. Il radicale del Pd, Matteo Mecacci, pone invece l'accento su certi eventi in apparenza marginali che invece sono stati in grado di produrre sconquassi nel mondo arabo: «Il 17 dicembre sarà un anno da quando il giovane tunisino che si è immolato ha suscitato la rivolta nel suo Paese e in molti altri a catena, che si sono liberati dal fardello di pesanti dittature. La Cina non deve dimenticare che seppure ha ormai un peso preponderante negli equilibri del pianeta, molti continueranno a tenerla nel mirino per come affronta i diritti umani. Il Tibet non viola la carta perché non richiede l'indipendenza. Non minaccia la sovranità territoriale cinese ma chiede soltanto ciò che gli spetta. E cioè l'autonomia». Il deputato di Alleanza per l'Italia, Gianni Vernetti, ricorda invece ai presenti che «Casini e altri politici italiani sono stati tra i pochi a voler incontrare il Dalai Lama scacciando con decisione le enormi pressioni ricevute dagli ambienti cinesi affinché l'incontro non avesse luogo.
«Un quinto degli abitanti del pianeta vive in Cina, paese che ha il libero mercato ma senza la democrazia. Il regime si arroga il diritto di nominare il prossimo Dalai Lama, e i paesi liberi hanno il dovere di investire in questa grande democrazia in esilio che è patrimonio del Tibet». Il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto pone l'accento sui meccanismi che hanno sempre sostenuto il totalitarismo. «Le immagini dei tibetani in fiamme mostrate oggi da Adornato segnalano il punto debole di ogni regime. Per abbatterli è necessario che le cose si sappiano, perché la repressione si nutre del silenzio. Il rapporto della Cina con il Tibet è di riflesso il rapporto che la Cina ha con sé stessa. Bisogna continuare a denunciare le contraddizioni di questo Paese. Gli eventi storici di quest'anno confermano che al tempo dei media, la storia diventa sempre più imprevedibile».
Poi la parola passa a Penpa Tsering, presidente del Parlamento tibetano in esilio. «Se chiedete conto alla Cina delle repressioni in Tibet, vi sarà risposto che loro versano fiumi di denaro nel nostro Paese. Ma i soldi vengono investiti in infrastrutture o affidati ai dirigenti locali. Mentre ai tibetani non tocca nulla, compresa l'assistenza sanitaria», spiega il politico tibetano. «La Cina sta tentando di cancellare le tradizioni culturali tibetane, incentrate sul nomadismo, senza offrirne di nuove. I giovani vengono spinti a bere, a giocare d'azzardo e ad allontanarsi dalla tradizione dei loro padri. Basti pensare che la Cina ha vietato che la lingua tibetana sia insegnata a scuola», prosegue Tsering. «In Tibet è stata abolita la libertà di pensare. È questo che spinge un monaco a bere cherosene e a darsi alle fiamme. Dovete sapere che la Costituzione cinese e e la legge sulle autonomie sono come le zanne di un elefante. I denti, quelli veri, sono uno in fila dietro l'altro nelle leggi del partito comunista. La Cina predica armonia, ma nessuno ha mai creato armonia tenendo premuto il grilletto di una pistola». È un intervento molto forte, quello del presidente tibetano. Ma soprattutto amaro.
A concludere i lavori di "Insieme per il Tibet" è il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini. «Un sentito grazie a Ferdinando Adornato per questo bellissimo evento. È il segnale che in tema di libertà e solidarietà il nostro Parlamento sa essere unito e sensibile», commenta l'esponente centrista. «È bello che la nostra politica si ritrovi insieme in nome della pace e della libertà», annota. «Se c'è una sintesi possibile di ciò che oggi è stato detto, essa è che non c'è pace vera senza vera libertà», spiega Casini. «Si tratta di un messaggio che rivolgiamo anche agli amici cinesi. Nessun buon rapporto commerciale, nessuna buona amicizia ci potrà mai sottrarre dalla denuncia dei diritti umani violati. Gli stessi nei quali ci riconosciamo e che fanno parte della nostra storia».
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