Il traguardo dell'Europa politica

Dalla Rassegna stampa

Angela Merkel ha portato un regalo a Giorgio Napolitano e Mario Monti: l’Europa politica. A cinque anni dalla riunione che a Berlino celebrò inutilmente il Trattato di Roma, è da Berlino che si riparte. «Noi cittadini dell’Unione siamo, per la nostra felicità, uniti», si disse allora.

Non è stato così, e solo la violenza di questa crisi, il rischio di default e di contagio da default, poteva spingere l’Europa a ritrovare se stessa. Ed è la Germania a riconoscere che, per arrivare a unificare la politica economica dopo il varo del fiscal compact, per superare quella che Carlo Azeglio Ciampi chiama «la zoppìa», occorre partire dalla politica. E’ il rovesciamento di tutto ciò che da Maastricht ci ha condotto sin qui, attraverso l’Odissea della crisi.

«Adesso c’è un clima molto più favorevole all’Europa politica», ha commentato ieri Giorgio Napolitano. Perché al Quirinale, come a Palazzo Chigi, era stato appena recapitato un documento detto «degli otto», che in sole tre paginette ridisegna il sogno europeo. In vista della riunione dei ministri degli Esteri il 20 marzo a Berlino, Germania, Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Olanda, Austria, Belgio (cui si sono poi aggiunti Danimarca e Polonia) propugnano «maggior integrazione politica», «maggiore capacità di azione attraverso un più efficiente processo decisionale e maggior coordinamento tra le istituzioni». Si punta non un’Europa nuova ma un’Europa vera, ridisegnandone anche la governance. Il percorso non sarà breve, e di certo nemmeno lineare, ma è il primo forte segnale che si è preso atto della gracilità degli Stati-nazione del Vecchio Continente, della follia di aver buttato alle ortiche il progetto di Costituzione. A Berlino, a rilanciarlo sarà Guido Westerwelle. Si guarda, come primo traguardo di lavoro, al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno.

Angela Merkel, a chi ha assistito ai colloqui dell’altro giorno al Quirinale e a Palazzo Chigi, è sembrata orgogliosa di poter mostrare di avere una visione ampia, lungimirante dell’Europa, e anche di rendere ragione alle accuse lanciatele dal suo antico maestro, e padre della riunificazione oltre che dell’euro, Helmut Khol. La necessità di mostrare che la Germania non è un cerbero anestetizzato dai propri trionfi ma un primus inter pares, il bisogno di rispondere politicamente a quell’allarme lanciato settimane fa da Helmut Schmidt sul rischio di «venti antitedeschi» alimentati dalla merkeliana ideologia rigorista, non sono apparsi tutti d’un colpo. Alcuni segnali c’erano stati. Da ultimo, il documento «Per una forte Unione politica» di Amato, Bonino e Prodi firmato anche dai tedeschi Beck, Brok, Jansen, Lamers, Poettering, Schoenfelder. Prima ancora, una conversazione della Cancelliera con degli studenti all’inizio di febbraio, «l’Unione deve cambiar pelle», certo «è molto difficile cedere sovranità, ma è necessario». E «servirebbe che la Commissione diventasse un autentico governo, e che rispondesse a un forte Parlamento». Un progetto che è musica, per le orecchie di Monti e soprattutto di Napolitano. Adesso, si può cominciare a pensare a un’Europa sovrannazionale. Come diceva Jean Monnet, l’Europa cresce nelle crisi.

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