Torna la sindrome nazionalista Un pericolo che minaccia l'Europa

Dalla Rassegna stampa

A Ramallah si delinea lo stesso destino del ghetto di Varsavia? Messo alle strette da Dario Fertilio, Zygmunt Bauman non risponde perché non sa come uscire dal suo paragone banale. Gunther Grass, dopo aver fatto un'equivalenza tra morte in massa dei militari tedeschi dopo la guerra nei campi di prigionia sovietici e Shoah, dice che da anni si batte contro tutti per il Premio Nobel ad Amos Oz. È la sindrome nota per cui la conclusione di ogni ragionamento pericolosamente ambiguo e vicino al pregiudizio si risolve nell'affermazione che «tra i miei migliori amici ci sono gli ebrei». Non è improbabile che dietro a tutto questo ci sia la comparazione non risolta tra nazismo e comunismo, come sostiene Pier Luigi Battista.

C'è un'inquietudine europea che dobbiamo osservare con attenzione, com'è emerso, del resto, anche sabato a Cernobbio al Forum Ambrosetti e riguarda in prima persona noi europei di ora alle prese con una crisi che ci terrorizza.

L'Europa è divisa in due: da una parte l'impegno da parte di alcuni volonterosi, tra questi la Germania che, pur con errori e incertezze, vogliono l'Europa perché convinti che quel progetto ci consentirà di guardare al mondo; dall'altra il fascino che molti avvisano per politiche e culture neonazionaliste, convinti che rappresentino un'ancora di salvezza. E accaduto sia a Paesi che avevano intrapreso una via di modernizzazione come l'Ungheria; a Paesi a forte tradizione democratica come l'Austria; a Paesi moderni caratterizzati da una tradizione profonda di pratica della libertà individuale, come la Finlandia, la Danimarca, i Paesi Bassi. E sta accadendo in Francia e forse nemmeno noi, qui in Italia, siamo così lontani da sentire quel fascino.

Quel tempo che pensavamo lontano, è tornato a popolare i sogni di molti europei. Sostituire le parole, come in Francia, perché Shoah è una parola straniera, o parlarne facendo paragoni banali, è la terapia più miope per non guardare in faccia la realtà, scaricando su altri quello che temiamo di ritrovarci a vivere e, da parte di alcuni, forse a scegliere.

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