Teodem, le ragioni della diaspora

Dalla Rassegna stampa

Davvero è il caso-Bonino all’origine dell’uscita di alcuni teodem dal Pd e del «generale disagio» – come lo chiama Paola Binetti – che circola nel partito di Bersani? Davvero è per questo che un’esperienza così ricca di motivazioni, comunque la si giudichi, va a concludersi? Di certo c’è che con l’uscita di Enzo Carra e Renzo Lusetti (quest’ultimo però non è assimilabile al gruppo pur condividendone diversi tratti), questa componente va sfrangiandosi dando vita ad una piccola diaspora: c’è chi resta nel Pd (almeno finora) come la Binetti, Baio Dossi, Bobba, Lusi; chi è andato nell’Udc, come Dorina Bianchi e appunto Carra e Lusetti; mentre Donato Mosella e Marco Calgaro hanno seguito Rutelli nell’Api.
Quello che colpisce è appunto questo sfarinamento del gruppo alle prese con l’esigenza di aggiornare la sua linea e produrre, foss’anche mediante uno strappo, una nuova e coerente proposta politica. Uno “scioglimento al sole” tanto più sorprendente in quanto riguarda una componente di cui tutto si può dire tranne che non fosse attrezzata – e fortissimamente – dal punto di vista culturale e morale. La “diaspora” assomiglia di più ai tristi tramonti dei gruppetti politici che non ad un esito alto e consapevole: e pensare a quanto hanno contato in questi anni, i teodem, dal punto di vista della discussione politica e culturale, nella vita prima della Margherita e poi del Pd.
Nati a metà del decennio come una soggetto perfettamente in grado di controbilanciare il cattolicesimo democratico – i veri loro antagonisti sono stati i popolari, i Franceschini, le Bindi, i Castagnetti («Oltre il cattolicesimo democratico? » era l’interrogativo alla base del convegno dell’ottobre 2006) –, i teodem si incastonavano perfettamente nello spirito del tempo, quello di Ruini e di George W.Bush, dell’irruzione prepotente del nesso politica-vita declinato nella versione neocon e qui da noi proiettato sul terreno politico-legislativo (il referendum sulla fecondazione assistita, il caso Englaro, i Dico) in un contesto sufficientemente bipolare. La fase ora è molto diversa, da tutti quei punti di vista. Ne mettiamo in evidenza due.
Uno riguarda Rutelli, l’uomo politico che coagulò quei fermenti immettendoli direttamente nella politica nella convinzione che anche da essi potesse trarre lievito un riformismo al passo con i tempi.
Lasciato il Pd, va detto che la sua Api non sa fungere da catalizzatore per i teodem in uscita dal Pd, che infatti le preferiscono Casini, il che peraltro è spiegabile con la palese curvatura di Rutelli verso temi e suggestioni “laici”, come se l’ex capo della Margherita avesse capito che l’issue teodem non è più spendibile nella nuova stagione politica.
C’è poi il tema del Pd. Che non è riuscito, né con il radical Veltroni né col cattolico democratico Franceschini né con il socialdemocratico Bersani, ad essere davvero la loro “casa”. Il caso-Bonino è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, visto che la Binetti ha detto di essere «stupefatta da come fino ad ora il Pd, avendo accolto la Bonino con tutti gli onori, non abbia offerto ai suoi elettori nemmeno uno spunto di fattori di complemento per garantire certi valori». E ha anche accennato al mancato ticket nel Lazio, facendo i nomi di Silvia Costa, della Garavaglia...
Ora, a meno che non si voglia ridurre tutto ad una questione così banale, è legittimo chiedersi se non i valori cattolici (quelli declinati alla maniera teodem) ma certe domande, certe analisi, certe istanze, nell’era post-ruiniana e obamiana non vadano completamente ripensate. Nell’attesa, c’è solo la diaspora.

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