Tecnica dell’epurazione

Avvertiva ieri pomeriggio prima del televoto l’assidua agenzia Agipronews, specializzata in «Giochi a Pronostico e Scommesse», che sulla lavagna dei bookmaker l’espulsione dei Quattro risultava poco meno che scontata, l’1,17; e che solo i giocatori più temerari avrebbero puntato sulla loro sopravvivenza all’interno del M5S. Ora nel dispiegarsi della Volontà Collettiva, così come in quello del Caso e della Sorte, c’è sempre qualcosa di superiore e assoluto, e infatti i risultati della consultazione si sono imposti immediatamente come un Giudizio di Dio, extra ecclesiam nulla salus, fuori dalla chiesa on line di Grillo e di Casaleggio non c’è salvezza per alcuno, quindi siano espulsi i senatori avidi, impuri, infedeli, e buona notte.
La Rete, come dire la divinità, ha deciso in questo modo. E adesso può anche suonare come un cervellotico collegamento, ma i grani hanno una certa dimestichezza con le ordalie se è vero, com’è vero, che per selezionare i militanti da mettere in lista prima delle ultime elezioni misero in atto un particolare metodo - in pratica si trattava di un’intervista televisiva con domande molto toste e il rischio sostante di essere additati al pubblico ludibrio - che gli stessi organizzatori cinquestelle, magari anche per scherzo, comunque designarono: «La graticola». Nel medioevo l’ordalia cosiddetta «del fuoco» aveva diverse varianti, tutte visibili in antiche pitture (non di rado riadattate nei siti sadomaso): passeggiate sui carboni ardenti, consegna di ferri incandescenti, collocamento di corpi su vere e proprie griglie a pochi centimetri dalle braci. In tempi di riemersioni arcaiche in chiave tecnologica la ricerca della purezza era affidata alle fiamme che alimentano il sistema mediatico. Ma qualcosa, in quel metodo purificatorio e in quelle filtratissime liste, deve aver fatto evidentemente cilecca. Senza considerare Tavolazzi, infatti, e Favia e la Federica Salsi, che si sentì rinfacciare nientemeno che il punto G per essere andata a Ballarò, in meno di un anno, cacciati o dimessi, da Palazzo Madama e da Montecitorio hanno abbandonato la retta via: Adele Gambaro, Marino Mastrangeli, Fabiola Anitori, Paola DaPin, Vincenza Labriola, Alessandro Furnari, Adriano Zaccagnini e adesso i Quattro Senatori e domani magari altri sei.
Dinanzi a tutti questi casi pare francamente esagerato evocare, come pure è stato fatto, il fascismo, la Gestapo e il Politburo; così come non porta a molto mettere a confronto le varie ormai quasi seriali purghe grilline e quelle che hanno segnato più o meno gloriosamente la Prima e la Seconda Repubblica: Melloni (il futuro Fortebraccio) e Bartezzaghi espulsi dalla Dc l’opposizione alla Ced, o i tanti comunisti radiati dopo l’invasione dell’Ungheria e per l’eresia del «Manifesto»; o ancora i rautiani usciti dal Msi, i dissidenti anti-Craxi sbattuti fuori dal Psi, i radicali ostili a Pannella, e via, dissidenza dopo dissidenza, affannosamente arrivando al Fini di «che fai, mi cacci?». L’universo cinquestelle davvero non c’entra nulla, e non solo perché costituitosi nel tempo evoluto e selvaggio della post-politica, ma perché quanto a democrazia gli odierni partiti lasciano molto a desiderare, né s’intravede a destra come a sinistra chi davvero sia disposto a considerare il dissenso come una ricchezza, e a non disprezzare perciò gli eventuali dissidenti come delle nullità («Fassina chi?») o dei traditori (vedi Alfano per í falchi berlusconiani).
Sembra piuttosto, il movimento di Grillo & Casaleggio, da osservarsi nelle sue dinamiche con categorie poco legate alle culture ideologiche e politiche del secolo scorso. Se veramente la tecnologia ha cominciato a mettere in crisi la nozione di rappresentanza; e se la Rete ha spossessato la politica di tutti gli utensili della modernità, a cominciare dalle istituzioni, ecco, è possibile che il modo fin troppo brutale con cui il M5S si affanna a risolvere le sue inevitabili beghe, non sia che una specie di anticipazione del futuro remoto. Certo colpiscono i processi, le lacrime, lo psicodramma permanente, il manicheismo, il messianismo, il fideismo digitale, e poi anche i richiami alla fedeltà, gli anatemi, le scomuniche, l’eventuale lavacro delle colpe, la chiamata a vigilare su complotti e infiltrati. Tutto questo, per dirla chiara, sa di religione, o di setta, tra Scientology (che pure l’anno scorso ha protestato per essere stata accomunata al M5S) e una delle mille comunità esoteriche di cui lo studioso Massimo Introvigne produce interessanti repertori. Il dispotismo, in altre parole, è nella forza delle cose; la democrazia, come la si è intesa finora, un vago ricordo.
Più che i manuali di scienza politica per orientarsi nelle traversie grilline servirebbero Orwell e Foucault, oppure un romanzo in chiave come quello che lo scorso anno ha scritto Vincenzo Latronico, «La mentalità dell’alveare» (Bompiani), dove il MoVimento si configura come una sorta di Inquisizione 2.0 rispetto a cui inquisitori e inquisiti si scambiano i ruoli nell’illusione di essere liberi di sceglierseli, e c’è chi vota contro le sue stesse proposte, e chi ritiene giusto essere fatto fuori. Dalla vecchia società disciplinare alla nuova società del controllo diffuso, inedita struttura di dominio all’altezza dei tempi. Ma forse si è andati troppo lontani, e magari da oggi, con buona pace di Grillo & Casaleggio, il governo Renzi ha solo una mezza dozzina di voti in più - cosa abbastanza irrilevante considerata la pregressa graticola.
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