Sull'Ue spirano venti populisti. Italia in controtendenza, pensando a Lampedusa

Il premier britannico David Cameron lancia un sasso nello stagno di Eurolandia con una proposta che fa scandalo perché chiede di riconsiderare forme e modi del sacro principio della libera circolazione delle persone in Ue, alla luce dei cambiamenti radicali degli ultimi trent’anni. E lo fa partendo dalla sua Gran Bretagna, prospettando una serie di limitazioni all’accesso al welfare inglese di coloro che considera come nuovi immigrati, i cittadini bulgari e romeni che dal gennaio 2014 avranno potranno lavorare e risiedere nel paese con gli stessi diritti dei britannici. Niente sussidi di disoccupazione o benefici per abitazione e famiglia per i primi tre mesi. Espulsione per indigenti e senza fissa dimora.
La cosa fa rumore ovunque se lo stesso Financial Times si sente in dovere di puntualizzare che la libertà di circolazione non può essere discussa. Ma, naturalmente, esplode a Bruxelles, che risponde a tono, ma che è già sottoposta a un tiro incrociato di pressioni uguali e contrarie sulla mobilità intracomunitaria degli immigrati veri e propri e dei richiedenti asilo. Una cosa che si è vista tutta nei movimenti della diplomazia europea nei confronti dell’Italia e della sponda sud del Mediterraneo a seguito della tragedia di Lampedusa. C’è voluta infatti, oltre alle proporzioni di quella tragedia, tutta l’autorevolezza del premier Enrico Letta in sede Ue, un lungo lavoro di cucitura diplomatica fra Nord e Sud Europa e, con la missione Mare nostrum, la dimostrazione che l’Italia è in grado di aprire la strada e di assumersi le proprie responsabilità per arrivare all’apertura (che Maroni ha a lungo cercato senza raggiungerla) sancita nelle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo dei capi di governo, nel quale si è parlato di gestione delle politiche migratorie sulla base «del principio di solidarietà» e di «un’equa divisione di responsabilità».
E per strappare l’impegno a decidere qualcosa di concreto almeno sul rafforzamento del sistema di pattugliamento europeo (Frontex), su quello di sorveglianza dei confini (Eurosur) e sulla task force gestita dai paesi meridionali e coordinata dall’Unione che si affianchi a Mare nostrum. A questo proposito è stato il ministro degli esteri Bonino a illustrare una decina di giorni fa ai colleghi europei la missione, le sue caratteristiche e i suoi risultati. L’Italia insiste, anche se su Bruxelles soffiano altri venti. Ogni decisione operativa verrà presa nel prossimo Consiglio dei capi di governo previsto per il 19 dicembre. Quel che è certo è che non si entrerà nel merito della redistribuzione dei richiedenti asilo a cui l’Italia non smette di pensare (almeno in prospettiva) ma su cui grava il niet dei paesi del Nord, a partire dalla stessa Germania. Sulla disciplina Ue dell’asilo si interverrà solo a partire dalle presidenze greche e italiane, cioè dall’anno prossimo. Ma è difficile che si arrivi a intervenire sul regolamento Dublino 2 che disciplina in senso restrittivo il movimento di chi chiede protezione internazionale. Tanto più che, a pochi mesi dalle elezioni europee, è lo stesso principio della libera circolazione fra gli europei a essere messo in discussione. Per ora dalla tradizionalmente euro scettica Gran Bretagna. In quanti la seguiranno?
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