La strana teoria Mannino

Nell’ultima udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia è stato sentito un solo testimone, Riccardo Guazzelli, figlio di Giuliano, un maresciallo dei carabinieri ucciso nel ‘92 dalla mafia. Ha confermato i rapporti di frequentazione fra suo padre e l’onorevole Calogero Mannino e il fatto che Mannino, dopo l’omicidio Lima, aveva ricevuto minacce e temeva a sua volta di essere ucciso. Guazzelli mise in contatto Mannino col generale Antonio Subranni, all’epoca a capo del Ros dei carabinieri, allertato anche dal comandante generale dell’Arma Giuseppe Tavormina. Dunque la testimonianza del figlio di Guazzelli serviva alla procura per confermare l’interessamento dei carabinieri a protezione di Mannino.
La tesi dell’accusa è che il vicecapo del Ros Mario Mori contattò Vito Ciancimino non per servirsene come informatore sul nascondiglio di Totò Riina ma per evitare che Mannino fosse ucciso. Marco Travaglio, megafono dei pm, riassume così la questione: «La trattativa salvò la pelle a un pugno di politici da Mannino in giù... Al loro posto morirono Borsellino, gli uomini della scorta, e 10 cittadini fiorentini e milanesi». I rap- porti fra Mannino e i carabinieri sono fondanti per l’ipotesi accusatoria da lì sarebbe partito il meccanismo della trattativa. Resta il fatto che una persona minacciata di morte non si vede a chi si debba rivolgere se non alle forze dell’ordine. E cosa avrebbero dovuto fare i carabinieri ? Quanto al rapporto con la strage di via D’Amelio, sono gli stessi pentiti portati dall’accusa a dire che l’omicidio di Borsellino era stato comunque programmato da tempo e anche le stragi del 1993 seguono, sempre secondo i pentiti, una logica decisa da Riina. Il punto vero del processo è capire se quelle stragi abbiano ottenuto risultati, ovvero una illecita contropartita.
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