Stragi del '93 Il picciotto non convince

Dalla Rassegna stampa

Indagini sulle stragi di mafia, seconda puntata. Dopo l'apertura dell'indagine su Calogero Mannino a proposito della ''trattativa" all'epoca delle stragi del '92, ieri è stata la volta di un mafioso pentito che chiama in causa Berlusconi come mandante delle stragi del '93. L'obiettivo sarebbe stato aumentare il caos per aiutare la sua discesa in campo. La mafia ci avrebbe guadagnato nel cambio di governo. La tesi non è nuova. Il nuovo pentito però non ha i tratti del mafioso di livello. Uno a cui si delega il compito di strangolare un ostaggio tredicenne è difficile che venga informato delle faccende più riservate. Intanto sembra chiaro che i Pm palermitani si siano convinti che con stragi e trattative del '92 Berlusconi non c'entra. La faccenda viene imputata agli ultimi governi della Prima Repubblica. C'è però un aspetto singolare in questa possibile ricostruzione: in tutti e due i casi la mafia, prodiga di stragi, non ottiene praticamente nulla, se si eccettuano i detenuti tolti dal 41 bis dal ministro Conso. Figure secondarie, nessuno dei capi, molti dei quali, al contrario, vengono arrestati. In un torbido periodo di trapasso condito da stragi, crisi finanziarie e tangentopoli è ben possibile che la mafia possa aver liquidato vecchi interlocutori cercandone di nuovi. Ma, al più, sembra aver avuto promesse non mantenute. Rimane dunque materia molto friabile per un processo penale anche se politicamente significativa. Un po' come il processo Andreotti.

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