Lo staff di Giuliano: «Qui decidiamo noi». Cappato cacciato dall'incontro con il leader tibetano

Prima di entrare in consiglio comunale per il discorso alla città, il Dalai Lama ha trascorso una decina di minuti in colloquio riservato con il sindaco e il presidente del Consiglio comunale, Basilio Rizzo. A fare da cornice e da pubblico, il parterre di portavoce ufficiali di Pisapia e del padre spirituale dei tibetani. Tra questi c'era anche l'uomo di fiducia di Lobsang Sangye, da pochi mesi eletto presidente del Governo tibetano in esilio. Come ha ricordato il Dalai Lama in consiglio, lui non riveste più la carica politica di leader dello stato tibetano in esilio, ma solo quella spirituale. E
proprio il capo delle relazioni di Lobsang Sangye ha creato un piccolo caso.
Guardandosi attorno, infatti, si è stupito di non vedere il suo amico («my friend»): Marco Cappato. Il consigliere radicale, che da anni assieme al leader dei radicali Marco Pan nella segue la battaglia politica per l'indipendenza del Tibet dalla Cina, non era tra gli invitati del ristretto consesso. Ma lui non si è fatto problemi: ha alzato il telefono, e gli ha detto: «Vieni qui, ti aspetto». Cappato, da Gianburrasca della politica qual è, non se l'è fatto ripetere due volte. È salito fino alla sala dell'Orologio, oltre la quale si trovano le stanze di lavoro di Giuliano Pisapia.
E lì è scoppiata la miri baruffa: il portavoce tibetano ad alta voce che diceva a Cappato «come on, this is my friend», vieni dentro, lui è mio amico. Mentre il responsabile delle relazioni esterne del sindaco, Maurizio Baruffi, ex radicale (dal 1986 al 1992, si legge nel suo cv sul sito del Comune, ha lavorato nella comunicazione per Radio Radicale), rispondeva severo: «This is my house», questa è casa mia e decido io.
Niente da fare per Cappato, che vestito di tutto punto, ha fatto ritorno in aula, togliendosi almeno la soddisfazione di stringere la mano con calore ai monaci presenti in sala.
© 2012 da Libero. Tutti i diritti riservati
SU