Spigolature

Rimugino un'idea forse paradossale, suggeritami dagli eventi di questi giorni ma che ha, credo, una portata generale. E dunque azzardo: è banale pensare che la sconfitta è un evento “laico”? La vittoria regala esaltazione del sé, comporta quasi sempre un po' di traboccamento dall'umano fino al rischio di colpa prometeica. La sconfitta mette a nudo fragilità e debolezze, fa rientrare nella limitatezza connaturata alla condizione dell'umano anche l'eroe (quando lo si è), esprime sempre, comunque, una perdita di certezze, una menomazione, piccola che sia, nel percorso esistenziale: cui ci si può rassegnare (e anche questo è un verbo dell'umano) oppure no, ma cambia poco. Persino la vicenda di Gesù palesa tutta la sua umanità nel momento dell'abbandono da parte del popolo di Gerusalemme e della morte sulla croce (non parlo della resurrezione, che è altra cosa - forse mito kerigmatico). Le diverse vicende che segnano la sconfitta, la diversità delle singole circostanze -anche quando imparagonabili l'una con l'altra - hanno qualcosa in comune: lo sconfitto è alla mercé di altri, non solo i vincitori: in modi e gradi diversi, deve attendersi che su di lui ci si accanisca anche oltre la portata, la profondità della sconfitta. Fino alla "damnatio memoriae" che si abbatteva sugli imperatori romani morti o uccisi, non amati dal popolo (o dai senatori), cosicché il loro nome veniva scalpellato via da marmi e trionfi.
E sullo sconfitto può riversarsi come un'onda impietosa non solo la ragionevole gioia del vincitore ma anche il ludibrio di chi, nulla avendo avuto a che fare con la vittoria, con i suoi percorsi e le sue difficoltà, si dà da fare sgomitando e scalciando, per rubarne almeno i riflessi: Ti sono anch'io". Ricordo ancora, adolescente appena, i busti bronzei di Mussolini trascinati, la notte del 25 luglio, per le vie di Roma, e il suo nome sbriciolato a martellate da gruppetti di scalmanati con negli occhi una cupa spietatezza. Mentre osservavo queste - a me fino ad allora sconosciute brutalità, non sentivo alcuna compassione o rimpianto per il caduto, ma provai ugualmente un certo malessere. Tutto questo è fatale, "umano"; c'è, in questo, qualcosa di ineluttabilmente terreno - e direi, appunto, laico: da accettare laicamente. Nell'ambito della politica, la democrazia ha almeno in parte attenuato le sconfitte, ha governato le cadute, le ha fatte divenire una regola fisiologica. È uno dei suoi meriti, ma neanche la democrazia ha del tutto eliminato l'amaro che promana da quei momenti. In questi giorni assistiamo a una pesante e sicuramente drammatica caduta e, sia pure fugacemente, non possiamo non rivolgere un'occhiata compassionevole a chi è finito nella polvere: anche la compassione, mi sembra, è virtù laica, un sentimento che unisce il compassionevole con colui che è suo interlocutore nella vicenda che, da diverse sponde, li coinvolge, Non so quanto valga quel che sto cercando qui di esprimere: certamente è l'opposto della glorificazione della sconfitta, tipica di certo estetismo (di destra? nietzschiano?).
Per esempio il cardinal Ravasi
Seconda spigolatura di attualità: il Pontificio consiglio per la Cultura, presieduto dal cardinal Gianfranco Ravasi, ha firmato un accordo con una società biofarmaceutica privata, al fine di promuovere un programma di ricerca sulle cellule staminali adulte e le possibilità di un loro impiego terapeutico. La ricerca è finanziata con un milione di dollari, garantiti da "benefattori". Primo frutto dell'accordo, un congresso internazionale sull'argomento, svoltosi giorni fa in Vaticano con la partecipazione di oltre trecento "scienziati, vescovi, diplomatici, politici e intellettuali" (il potpourri è della stampa, non mio). La ricerca lavorerà sulla tesi che le cellule staminali adulte possono essere riprogrammate per divenire atte a sostituire tessuti o organi malati.
È evidente che l'iniziativa vuole essere una risposta razionale a quanti intendono invece partire, per ottenere i risultati voluti, dalle cellule staminali embrionali, metodo che la chiesa condanna perché lo giudica contrario alla vita stessa. A me pare che l'operazione sia valida. Non ho preclusioni nei confronti di una competizione tra i due procedimenti, se tenuta su binari correttamente scientifici. Il problema è che mentre la ricerca promossa dalla chiesa gode di una sponsorizzazione da un milione di dollari, quella che parte dalle staminali embrionali non riceve, in Italia, nemmeno un soldo dallo stato (o forse briciole), e i privati si guardano bene dal sostenerla. Eppure non è affatto sicuro che il confronto, sebbene condotto con armi così disuguali, sarà vinto da chi batte la strada delle cellule adulte. Staremo a vedere, pronti ad applaudire chi arriverà primo, o otterrà risultati migliori: che è la sola cosa che importa.
E quando dovesse risultare che il metodo fondato sulle embrionali è più efficace, temo che non vi saranno ragioni sufficienti a ostacolarne la diffusione, a livello mondiale. Nel braccio di ferro tra salute e salvezza l'uomo, ahimè, sceglie la prima. Anche questa è - per chi voglia capire - una scelta eticamente seria.
© 2011 Il Foglio. Tutti i diritti riservati
SU