Si vota il bilancio ma la Camera non tocca i vitalizi

«Noi chiediamo che come avviene ovunque in Europa, i nomi degli assistenti parlamentari siano resi pubblici e la privacy qui non c’entra nulla»: si vota l’ordine del giorno numero 40 del Radicale Maurizio Turco, parere contrario dell’ufficio di presidenza, mano alle tessere.
E la Camera respinge. E’ una delle clip finali di una lunga sequenza di colpi di fioretto in un’aula stracolma, tutti all’appello per dire sì al bilancio della Camera riveduto e corretto.
Questione delicata con l’aria che tira, clima frizzante e la prima a farne le spese è la Fondazione della Camera, oggi presieduta da Bertinotti, tra sei mesi sarebbe toccato a Fini: bei locali in un palazzo dietro Montecitorio, vari convegni di studio e personale ad hoc per la bisogna. Fini dà il placet e così di fatto taglia non solo una sorta di «paracadute» per gli ex numeri uno, ma anche 2 milioni di euro di spese: con sommo gaudio del proponente, l’ex An Laboccetta, che da un anno piccona «un allegro giochino per far divertire gli ex Presidenti».
Ma pure stavolta i vitalizi degli ex deputati sono salvi, cedolini che in alcuni casi toccano 9 mila euro e che resistono alle intemperie dell’antipolitica: malgrado ai neo onorevoli, dopo la riforma, toccherà più magra pensione. Ma quelli degli ex «non possono essere cancellati con un semplice ordine del giorno in evidente contrasto con i principi della giurisprudenza della Consulta», spiega Fini, così dichiarando inammissibile la proposta dei dipietristi. Che con Borghesi si scagliano contro «questa vergogna, siamo andati a toccare i diritti acquisiti di milioni di lavoratori, mentre quelli degli ex deputati, in carica anche solo per cinque anni, sono intoccabili».
Ma anche se i questori sono disposti ad accogliere quasi tutte le richieste, i Radicali che si battono su vari fronti non ricevono soddisfazione. Respinte anche le richieste di tagliare le spese per l’assistenza sanitaria quotidiana degli onorevoli: ambulanze, convenzioni con il policlinico Gemelli, ambulatorio: cifre alla mano 960 mila euro l’anno, più 435 mila per il policlinico. Poi prende la parola la finiana Chiara Moroni: caldeggia che venga destinato un locale per un asilo nido interno, un «centro infanzia» a spesa zero, «non per andare incontro alle esigenze delle poche deputate che possono risolvere il problema, ma per quelle di tantissime donne che lavorano alla Camera, istituzione con orari particolari. E con tanti metri quadri disponibili...».
Proposta accolta dai questori. Allora torna in campo Borghesi, vorrebbe spazzar via anche le spese per gli ex deputati: perché «terminato il servizio non possono continuare prebende o viaggi e quasi 1 milione di euro del bilancio interno è destinato a loro». Ma la Camera respinge. Lui non demorde, chiede che gli stipendi apicali siano pubblicati sul sito, specie quelli del personale e dei suoi massimi dirigenti: e la spunta.
La sarabanda termina, si deve passare al giudizio finale su un bilancio che sforbicia del 5% per tre anni (150 milioni di euro) la dotazione dallo Stato, tagliando a destra e manca; ma troppo poco per chi in tempi come questi vuol esser più esigente. Con argomenti spesso non peregrini: i cittadini non capiscono perché per una mansione pagata fuori di qui 1500 euro, «qui dentro si guadagni 4 volte tanto e per 16 mensilità», tuona il solito Borghesi. «E anche spendere 7 milioni di euro l’anno per stampare gli atti parlamentari è un anacronismo su cui riflettere».
E alla fine solo l’Idv e i Radicali votano contro. Ma il Pd e tutti gli altri gruppi sono a favore, pure il Pdl che con Emerenzio Barbieri ricorda come dal 2006 «lo stato ha risparmiato 540 milioni di euro e la Camera ha fatto ciò che poteva per tagliare la dotazione e le indennità»
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