Il sentiero stretto di Monti

«Il vento che soffia in Europa fa largo alla crescita»: questa volta la frase di Monti è sottoscritta dai partiti: quelli di maggioranza come quelli di opposizione. È conveniente per tutti, salvo rare eccezioni, vedere nella sconfitta della Merkel in Nordreno-Westfalia il punto di svolta che allenterà il nodo dell'austerità.
In più c'è l'idea, soprattutto nel Pdl, che il passo falso della cancelliera tedesca obblighi il premier a contraddirsi, a smentire se stesso. Ma è proprio così? La realtà è più complessa e il primo a saperlo è il presidente del Consiglio. Del resto, basta leggere le dichiarazioni al "Corriere della Sera" del ministro Moavero (molto vicino a Monti) per capire che il cambiamento dello scenario europeo è tutt'altro che a portata di mano. La "crescita" è l'obiettivo prioritario, il punto d'arrivo verso il quale tendere gli sforzi, oggi con più fiducia di ieri. Ma la strada è lunga. Né la "golden rule", cioè lo scorporo dal deficit delle spese per investimenti, né i "bond" europei per finanziare le grandi opere sono dietro l'angolo.
Possono diventare, forse, il risultato finale di un lungo negoziato che comincia oggi con l'Eurogruppo, prosegue con il G8 e si articolerà nei diversi incontri al vertice fra europei che si terranno nelle prossime settimane. Al momento siamo a un punto di partenza, non certo al traguardo ultimo. Monti sa di essere solo in questa partita. Spetta a lui modulare tempi e modi di una trattativa incerta, in cui il governo italiano può mettere sul tavolo soprattutto una carta: il patrimonio di una credibilità ritrovata. Ma sullo sfondo gli "spread" che volano e le borse che crollano indicano uno stretto sentiero. Quanto a Hollande, il presidente del Consiglio è lieto che in Europa si siano aperti dei margini che fino a pochi giorni fa non esistevano. Ma sa che occorre fare molta attenzione. Non dare a Berlino l'impressione che si voglia isolare la Germania. Non creare l'impressione prematura che si stia creando un asse preferenziale fra Roma e Parigi (e può darsi che la smentita francese di un incontro Hollande-Monti prima del G8 rispecchi questa esigenza). In altre parole, i margini sono cresciuti ma guai a commettere errori che potrebbero avere l'effetto di irrigidire la cancelliera.
In fondo, il rigore e la crescita devono andare di pari passo, sulla base di una formula di cui nessuno ha ancora trovato la formula. Monti sa che il buon esito dei negoziati dipende dalla sua abilità di mettere inseme le due metà della mela: convincere i tedeschi che l'Italia non esce dal sentiero della severità sui conti pubblici, e in cambio ottenere il "sì" a un sostanziale allentamento dei vincoli. Ma ci vuole ottimismo per credere che il successo di questa strategia sia imminente, benchè il momento di tentare è adesso. Una Merkel più debole (e lo è dopo la Westfalia) può rivelarsi persino controproducente. La cancelliera dovrà fronteggiare in casa il fronte degli intransigenti, resi più impazienti dalle convulsioni di Atene. E dovrà farlo avendo perso un segmento importante della sua capacità di leadership.
Una Merkel più fragile e preoccupata per la rielezione nel 2013 potrebbe essere molto meno malleabile di quanto si auspica a Roma, a Parigi e in altre capitali. E in fondo il nocciolo della questione è quello riassunto ieri da Emma Bonino: all'Europa di oggi manca "una governance politica", un salto deciso nell'integrazione. Sarebbe la sola lezione da trarre dagli eventi delle ultime settimane, come ha ribadito anche Enrico Letta. Un obiettivo strategico che dovrà riprender forza dopo questa tornata di elezioni. E tuttavia, in attesa di vedere se l'Unione è in grado di darsi un profilo politico, Monti ha bisogno di ottenere già ora qualche risultato concreto. La salita per lui comincia adesso.
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