Senatori vili, col voto segreto torna il carcere per i giornalisti

Dalla Rassegna stampa

Siamo alle comiche? La legge nata un mese e mezzo fa per cancellare il carcere ai giornalisti, sull'onda del caso «Sallusti», diventa la legge per garantire il carcere ai giornalisti.
È proprio questo paradosso che si è visto ieri pomeriggio nell'Aula del Senato. Si era alla stretta finale per varare il ddl basato su una larga quanto precaria intesa tra i partiti, ma saltano fuori ben 131 «coraggiosi» che, nascosti dietro al voto segreto, approvano invece un emendamento della Lega, appoggiato dall'Api di Francesco Rutelli, che ripristina la pena detentiva fino a un anno per la diffamazione a mezzo stampa. Solo 94 i no e 20 gli astenuti, compresi i Radicali.
Prevale così il partito trasversale antigiornalisti, che già si era visto all'opera in queste settimane, con un voto di pancia, venato di risentimento, forse di vendetta.
Tutto questo avviene con il parere contrario del governo, espresso dal sottosegretario Gullo, che così viene clamorosamente battuto.
Nell'incertezza più generale la seduta viene sospesa, come chiesto da Pd, Idv e Udc, e il presidente del Senato Renato Schifani chiede a tutti di «riflettere e fare il punto» sul provvedimento nella riunione dei capigruppi fissata oggi a fine mattina.
Sconfortato, il relatore Filippo Berselli (Pdl) che scommetteva poche ore prima sul sì definitivo, ora parla apertamente di «binario morto». «È impensabile che il testo torni ancora in commissione - dice - ho fatto di tutto per trovare un accordo ed ero convinto di esserci riuscito, ma se questo è il voto non ci sono prospettive». E Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, è esplicita: «A questo punto si impone che il provvedimento venga ritirato».
In questo momento dunque il nostro Parlamento, messo al lavoro con la dichiarata volontà di evitare lo scandalo della prigione al giornalista condannato per diffamazione, come il direttore del Giornale che tra pochi giorni sarà chiamato a scontare 14 mesi di carcere, dichiara che invece vuole mantenere la pena detentiva.
Per i leghisti, che ora festeggiano in buona compagnia, la prigione deve rimanere in alternativa a multe da 5mila a 50mila euro. L'unica concessione è uno sconto di pena, visto che l'attuale legge sulla stampa prevede, quando c'è l'attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a 6 anni e una multa. Per respingere le accuse l'ex Guardasigilli Roberto Castelli spiega che, in fondo, il giudice potrà scegliere tra multa e carcere e, se deciderà per quest'ultimo in caso di «grave violazione, non accadrà nulla perché per pene fino a un anno in galera non si va».
Sta di fatto che dopo questo segnale in tanti vogliono abbandonare il ddl, anche se questo vuol dire lasciare in vigore la vecchia e tanto vituperata legge. Il calendario di Palazzo Madama prevede ancora due pericolosi voti segreti su altrettanti emendamenti e un terzo sull'intero articolo 1, quello che doveva sostituire la multa al carcere e che ormai è stato stravolto.
«È discutibile nascondersi dietro il voto segreto per mantenere la possibilità della detenzione per i giornalisti», attacca il presidente del gruppo Pdl Maurizio Gasparri. «Nessuno ci ha messo la faccia, solo Lega e Api, due partiti piccoli, promotori di questo emendamento che in commissione tutti gli altri gruppi avevano bocciato - sottolinea Luigi Li Gotti dell'Idv - mezzo Senato si è spostato in massa. È un arretramento culturale». Per il Pd Nicola Latorre «così si affossa il ddl». Il capogruppo Udc Gianpiero D'Alia ci vede «un segnale di vendetta che disonora il Parlmento».

 

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