Scola: "No all'accanimento terapeutico"

«No all’accanimento terapeutico, ma la vita va difesa sino in fondo». Il cardinale Angelo Scola, in visita all’Istituto dei tumori di via Venezian, in un confronto con medici e pazienti ha affrontato i delicati temi del fine vita a pochi giorni di distanza dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini, che nelle ultime sue ore aveva esplicitamente chiesto che la sua vita non venisse prolungata in modo artificiale. Una richiesta che, venendo da una delle personalità più in vista della Chiesa italiana, ha riaperto le polemiche scoppiate ai tempi del caso di Eluana Englaro.
Scola, arcivescovo di Milano, dieci anni dopo di Martini, interrogato in merito ha commentato: «Certamente io dico no all'accanimento terapeutico, questo trattamento va sempre escluso. Ma dico anche che la vita va difesa fino all'ultimo alito». Una frase che sembra contenere una contraddizione in termini, ma che il porporato ha precisato così: «Le due cose si conciliano benissimo, rispettando il valore supremo della vita e aspettando che ogni paziente trovi la sua morte “personale”. Una volta che la vita è stata voluta, difesa e affermata sino in fondo, allora sì che la volontà del paziente, del medico e dei familiari non può non entrare in gioco». Ogni storia fa un caso a sé, sembra dire il cardinale: «Tutto questo non relativizza la questione del fine vita: la vita va difesa fino all'ultimo alito».
Nell’aula magna dell’Istituto il cardinale ha affrontato anche il tema delle cure palliative. E ha invitato a parlare del «tema della morte» evitando che da questo «nasca una facile ideologia, che è una modalità sbagliata e parziale di affrontare la questione: di questo tema bisogna parlare a partire dal bisogno del paziente». Scola ha difeso esplicitamente «la pratica delle cure palliative, come accompagnamento del passaggio al Padre, cure che diventano molto preziose perché in questa nuova fase molto promettente della medicina genomica la cura palliativa potrà essere adeguata alla persona. Salvare e difendere fino all'ultimo momento anche un semplice alito di vita è un riconoscimento del dono e della bellezza che la vita è».
Dialogando con il pubblico dell’aula magna - circa 200 persone fra pazienti, medici, infermieri e operatori - il cardinale ha rimarcato che la «malattia che non è “contro” di me, ma è un’opportunità che mi è stata data per sviluppare meglio la mia vita. La domanda di salute e di guarigione che ogni uomo ha inesorabilmente nel cuore è sempre un'apertura a una domanda più grande di salvezza».
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