I radicali perdono la bussola

Dalla Rassegna stampa

L'esclusione, per opera degli uffici elettorali, della lista regionale dei radicali nel Lazio ha determinato reazioni improntate allo sdegno per il carattere grottesco che la motivazione della ripulsa parrebbe dimostrare: aver violato le pari opportunità attraverso la candidatura di cinque donne e quattro uomini nel cosiddetto listino, alle spalle del capolista, che è poi il candidato alla presidenza della regione. Si vedrà se e come la giustizia amministrativa agirà in conseguenza dello scontato ricorso dei radicali. Tuttavia, prima di sdegnarsi, d'imprecare e di prendere a priori le difese degli esclusi, sarà opportuno vedere perché i radicali avrebbero violato la legge.

Le istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature alla regione Lazio, ovviamente in possesso di tutti coloro che intendono concorrere alle elezioni, sono chiare: «Ciascuna lista regionale comprende, oltre al capolista candidato alla carica di Presidente della Regione, un numero di candidati non inferiore alla metà (arrotondata per eccesso) del numero dei consiglieri da eleggere nella parte maggioritaria (N.B. I consiglieri da eleggere nella parte maggioritaria sono 10)».

Segue un nota bene: «Secondo quanto disposto dalla legge regionale del 13 gennaio 2005, n. 2, articolo 3, comma 3, la lista regionale deve comprendere almeno un candidato residente per ciascuna provincia della Regione e i due sessi debbono essere rappresentati in pari misura. La mancata osservanza di tale disposto è causa di inammissibilità della lista». Da notare che le parole da «almeno» alla fine sono tutte in grassetto, mentre quelle dopo «la mancata» sono altresì sottolineate. Ergo: i radicali (che in materia di firme e liste sono considerati maestri) dovevano ben sapere che l'inosservanza della disposizione sulla pari presenza dei sessi avrebbe comportato l'inammissibilità della lista, sanzione applicata dalla Corte d'appello.

La dizione sulla «pari misura» non è tra le più felici, ma il modulo medesimo del listino (comprendente undici teorici nomi) avrebbe dovuto far capire che il candidato presidente era da considerarsi fuori del numero degli altri candidati («oltre» al capolista, come si è visto) , per i quali ultimi, invece, vige la divisione paritaria dei sessi.

Non è privo di significato il fatto che nessun altro listino sia incorso nell'errore commesso dai radicali: ciò vuol dire cha a tutti gli altri era ben noto che il candidato presidente non dovesse essere computato.

Il Tar potrà senz'altro accogliere il ricorso dei radicali, accettando la tardiva esclusione di una candidata per lasciare così nel listino otto nomi (quattro per sesso), più il candidato presidente. Non si dica e non si scriva, però, che l'esclusione è stata motivata dall'aver discriminato i maschi: semplicemente, i radicali (e solo loro) hanno sbagliato nell'applicare la legge regionale.

 

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