Quando Pannella sente il richiamo della foresta

In una politica così geometrica, tutta destre e centri e sinistre, sembrerebbe che per i radicali non vi sia nessuna possibilità. Troppo movimentisti, troppo poco canonici. Quel loro continuo spaziare di qui a lì, ieri alleati di Berlusconi, oggi insinuati nelle file del Pd, domani chissà, li rende disagevoli per tutti. Tant'è che il centrodestra li considera ormai come avversari e il centrosinistra non li conta più come alleati. Eppure, tra una polemica e l'altra, il partito di Pannella e Bonino continua a destare curiosità e difende con un certo vigore il proprio (trasversalissimo) spazio politico. Merito della fantasia dei suoi leader, si dirà.
Infatti, ogni volta che si invoca l'avvento di una donna al Quirinale il nome di Emma Bonino svetta in testa alle classifiche. E Marco Pannella, che calca la scena pubblica italiana dai tempi di Fanfani, Almirante e De Martino, difende la sua longevità con uno spirito ancora combattivo e quasi giovanile. Senza contare i loro allievi, da Rutelli a Capezzone e Della Vedova, sparsi in questi anni in quasi tutto l'universo politico italiano. La scuola radicale ha prodotto, insomma, maestri suggestivi e studenti indisciplinati, e questo ha sicuramente qualcosa a che vedere con il suo controverso successo.
Difficile incasellarli negli schemi correnti. Sono a destra di Berlusconi sull'economia e a sinistra di Bersani sui diritti civili. Il fatto è che il loro ordine del giorno non è (quasi) mai quello degli altri. Fin dai lontani anni Settanta i radicali hanno avuto la capacità di porsi alla testa di alcune solitarie e discusse battaglie politiche e civili che hanno enormemente dilatato i confini della nostra immaginazione collettiva.
Si sono battuti per il divorzio e per l'aborto, poi contro il finanziamento dei partiti, poi ancora per la liberalizzazione delle droghe e, infine, per l'amnistia. Il drammatico sovraffollamento delle carceri e la condizione infelice di quanti vi sono rinchiusi (magari ancora in attesa di giudizio) rappresentano oggi la loro ultima frontiera. Su tutte queste battaglie si può essere d'accordo o contrari, ma non c'è dubbio che, nell'insieme, hanno cambiato in profondità l'agenda politica di casa nostra.
Se nei suoi primi anni di vita il movimento di Pannella ha puntato molto sullo scandalo, fino a portare in Parlamento la pornodiva Cícciolina e l'ex terrorista Toni Negri, da ultimo le loro battaglie sono apparse meno eccentriche, meno radicali per così dire. Segno che, forse, anche per loro è arrivato il momento di cercare di avvicinarsi al senso comune del Paese.
Il destino dei radicali, fin qui, è stato tenacemente minoritario. Sono stati liberali in un Paese dominato a lungo dalle sue chiese partitiche più organizzate. Libertari in un Paese profondamente segnato dalla dottrina sociale e morale della Chiesa cattolica. E liberisti in un Paese che ha difeso con le unghie e con i denti il suo sistema di welfare. Su questi temi non hanno quasi mai cercato mediazioni, convinti in cuor loro che i compromessi politici sono l'anticamera della resa.
Ora, però, si sta aprendo una fase nuova, in cui molte carte si mescolano. Tutti si dicono liberali, o quasi. E il vento della crisi globale costringe a ridisegnare il sistema di sicurezza sociale. Non è detto che questo porti acqua al mulino di Pannella, che non a caso cominciò la sua avventura nella gioventù liberale. Ma di certo lo costringe a ripensare la strategia. I radicali sono apparsi fin qui come un partito indifferente al suo destino di governo. La Bonino è stata ministro con Prodi l'ultima volta, Pannella neppure quello. La vocazione è nuotare nel movimento, non di solidificarsi nelle istituzioni. Eppure questa vocazione stride col momento che stiamo attraversando. Che richiederebbe una più compunta e solenne assunzione di responsabilità. Staremo a vedere se Pannella e compagni ascolteranno il richiamo della loro foresta, o se da quella foresta infine usciranno.
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