Quando le italiane si ripresero il corpo e la storia cambiò

La vittoria del "no" che nel maggio del 1981 confermava, con il voto popolare, la legge che tre anni prima aveva abolito il reato di aborto e rendeva possibile, a determinate condizioni, l´interruzione volontaria delle gravidanza, resta un momento cardine nella storia delle donne e del nostro Paese. La campagna elettorale fu durissima, conobbe toni da vera e propria crociata.
Il Paese aveva già votato, pochi anni prima, nel 1974, a favore della legge sul divorzio anch´essa sottoposta a referendum e condannata dalla Chiesa. Ma la questione dell´aborto appariva, e senza dubbio era, più delicata e controversa. E più incerto appariva l´esito del referendum. A favore del mantenimento della legge sul divorzio, ad esempio, si erano pronunciati pubblicamente, nel corso della campagna elettorale, anche personalità e gruppi cattolici che evitarono, invece, di esprimersi a proposito della legge sull´aborto.
Massimo fu l´impegno del Vaticano e delle gerarchie, prima per impedire l´approvazione della legge (ricordo un discorso del Papa a Piazza S. Pietro ed una manifestazione allo stadio S. Siro di Milano affollato di almeno centomila persone), poi perché la legge venisse bocciata dal voto popolare. Nel corso dei comizi e degli incontri in parrocchia, le madri che avessero pensato di abortire e quelle che avessero votato a favore della legge venivano indicate, senza pietà, come assassine.
E tuttavia, alla fine, a favore del mantenimento della legge votò la maggioranza degli italiani e delle italiane, al Nord come al Sud. Votarono a favore della legge le donne che per abortire andavano all´estero o in qualche disponibile clinica privata, votarono a favore della legge le donne che per abortire erano costrette a far ricorso alle cosiddette "mammane" che intervenivano introducendo un ferro o un gambo legnoso di vegetale là dove una vita indesiderata stava germinando. Votarono insomma a favore della legge l´80% degli elettori e delle elettrici, al Nord come al Sud, in Veneto come in Sicilia, sordi ai richiami alla disciplina della Chiesa e delle organizzazioni cattoliche scese in campo contro la legge assieme alla Dc e al Msi.
Nel giro di pochi anni dunque, con la vittoria del referendum, diventava realtà una delle parole d´ordine più audaci di quel movimento femminista che aveva investito la nostra società a cavallo degli anni Settanta: «L´utero è mio e lo gestisco io». Non è esagerato dire che si apriva così anche nel nostro Paese una nuova fase della storia delle donne all´insegna della loro piena libertà, della piena padronanza del proprio corpo. La donna sarà ancora il "recipiente del seme maschile", come dall´inizio della storia aveva raccontato Eschilo («soltanto chi getta il seme nella terra fertile è da considerarsi genitore, la madre coltiva, ospite all´ospite, il germoglio…»). Ma di quel seme è lei ormai la responsabile, è lei che decide della possibilità e della prosecuzione della sua gravidanza, sottraendola al caso, alla inevitabilità della natura e persino (fu uno degli aspetti più controversi della legge) alla volontà del partner.
Non è esagerato dunque dire che entriamo da questo momento in una nuova storia dell´umanità, segnata dalla piena libertà e autonomia della donna sul proprio corpo.
E tuttavia, a distanza di tanti anni, vale la pena di ricordare l´ammonimento di un cattolico "laico" come Pietro Scoppola che ci invitava a leggere il risultato di quel voto non solo come la legittima affermazione di diritti civili, ma anche come «volontà della maggioranza di non essere inquietati da problemi morali e di principio», espressione di un pericoloso "vuoto etico", un processo sotterraneo che verrà pienamente alla luce nel corso degli anni Ottanta.
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