Quando Grillo bussò alle porte del Pd

Chissà se una volta dentro il Pd, le cose con Grillo sarebbero andate meglio; o forse peggio; o magari non sarebbe cambiato granché. Sia come sia, e ancora di più in agosto, la politica non si fa con i "se". E tuttavia, al terzo o quarto giorno di reciproci insulti, accade che dall'inesauribile giacimento dei ricordi bislacchi torni in mente la commedia dell'improvvisa infatuazione e della doppia iscrizione negata di Beppe Grillo al Pd.
Vicenda di calcolati equivoci, ma anche per questo abbastanza rappresentativa dell'andazzo in voga tra gli odierni litiganti. Era estate anche allora. Un po' Giannini (che dialogò con Togliatti) e un po' Pannella (che come un cuculo per decenni ha cercato di occupare gli altrui nidi), il 12 luglio del 2009 Grillo annuncia a sorpresa che intende candidarsi a segretario del Pd. Prenderà la tessera, porterà le firme e parteciperà alle primarie, per le quali tra mille impicci regolamentari e il consueto trantran oligarchico sono già in lizza Bersani, Franceschini e Marino.
Le motivazioni della scelta sono presentate in salsa agro dolce. Da un lato egli sente la necessità di "dare un senso a dieci anni di lavoro, tornare a parlare di politica e non di partiti e dare una mano ai giovani". Sostiene che "dalla morte di Enrico Berlinguer nella sinistra c'è il vuoto". Ma dall'altro condisce questa sua volontà d'impegnarsi con una sospetta considerazione personale: "Mi è venuto il magone nel vedere come questi fossili hanno segato la povera Debora Serracchiani, che aveva appena detto di condividere le cose che dico".
Al di là del preteso intento cavalleresco, i "fossili" si allarmano. Non tutti, per la verità: risulta dialogante la suddetta Serracchiani, quasi favorevoli Burlando e Marino, tace Veltroni. Ma il grosso della nomenklatura dà per scontato che si tratti di mera provocazione a scopo autopromozionale, come è. Però, al netto dei cavilli statutari, il modo di respingerla suona inesorabilmente il solito: il Pd è tutto per noi. E comunque: "Non è un autobus" dice Bersani, "non è un taxi", dice Migliavacca, "non è untram" dice Melandri. Grillo ovviamente ci sguazza; e prima di concludere che i notabili non sono d'accordo nemmeno sul mezzo di locomozione, che in realtà presto dirà essere assimilabile a un "carro funebre", il comico li scavalca, acquista il biglietto della pretesa macchina mortuaria, cioè prende la tessera presso un circolo in quel di Arzachena, Costa Smeralda. Paga anche 16 euri, che il Pd regionale, subito contrario, promette di rimborsargli. A quel punto il rifiuto fa crescere la discordia e la confusione a Roma.
Il senatore Marino pone in qualche modo in rapporto il no a Grillo con la pacifica adesione di un temibile violentatore seriale che a Roma è risultato alla guida di un circolo del Pd. Mentre Penati, che organizza la campagna di Bersani, prende spunto per accusare il regolamento che con il contributo franceschiano consente "candidature fai-da-te". Deve perciò intervenire ufficialmente la Commissione di garanzia: no a Grillo. Il quale però insiste e, rifiutato in Liguria, per la seconda volta ottiene la tessera dal circolo "Martin Luther King" di Paternopoli, Avellino. Tessera quindi annullata dall'istanza regionale. Tutto si consuma più o meno in una settimana, senza lasciare eccessive tracce nell'immaginario. Dopo di che i leader del Pd continueranno nel modo che si sa; e Grillo anche, con acclarata necrofilia accusando il Pd di essere un'accolita di "salme", "mummie", "zombie" e il suo segretario un "morto che cammina". Al che una volta Bersani, messo proficuamente da parte l'orgoglio da comizio, rispose in modo filosoficamente e dunque, se è lecito, anche politicamente ammirevole: “Dai, Grillo, stai sereno: noi semplici uomini siamo tutti quasi morti. E tutti viviamo qui fece una pausa - su quel 'quasi?”
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