Quando il giudice sentenziò: «I Cie non sono adatti ad accogliere esseri umani»

Dalla Rassegna stampa

 La domanda, come la potrebbe fare un bambino che vede alla televisione l’umanità scampata alla morte che sbarca tremando sulle nostre spiagge: «Papà, e adesso dove li portano?». La risposta è: «Li portano in un Cie». Ma se voi chiedete che cos’è un Cie, avrete risposte vaghe, come si addice a luoghi segreti, vaghi, costruiti per essere invisibili. In realtà, sono luoghi terribili. I Centri di identificazione ed espulsione degli immigrati «clandestini» vennero costruiti ai tempi della legge Turco-Napolitano e si stabilii che il massimo della permanenza fosse un mese. Poi venne la Bossi Fini e il periodo passò prima a 60 giorni, poi a 180; infine un decreto del ministro degli Interni Maroni nel 2011 prolungò il periodo fino a 18 mesi.

Attualmente i centri sono 13 e si calcola che in anno ci passino dodicimila immigrati senza documenti. Cosa sono: detenuti? Ospiti? Hanno dei diritti? Come vivono? Si sa molto poco, perché ai giornalisti, per esempio, è vietato accedere, così come agli avvocati, o a organizzazioni di volontariato e diritti umani. Ogni tanto, però i Cie arrivano alla cronaca. I loro nomi: Gradisca (lassù, vicino a Gorizia), Ponte Galeria (alle porte di Roma, il centro da cui passarono la Shalabajeva e la figlioletta), Trapani (dove arrivano quelli da Lampedusa), Caltanissetta, Lamezia Terme... I loro costi di gestione sono molto opachi: nel 2012 sono stati stanziati 174 milioni di euro, per il 2013 e 2014 saranno 216 milioni, ma lieviteranno. Per il centro di Gradisca, 13 imputati (tra cui un viceprefetto) sono sotto processo per truffa e sovrafatturazione. Dagli altri arrivano in continuazione notizie di tentativi di fuga, somministrazione massiccia di psicofarmaci, botte, sporcizia immonda, disperazione, suicidi.

L’Associazione LasciateClEntrare (www.lasciatecientrare.it), cui devo questi dati, si propone di far conoscere la realtà di questi luoghi, evidentemente non costituzionali, per giungere alla loro definitiva chiusura. Riferisce che alcune personalità che sono riuscite a visitarli - il diplomatico Staffan De Mistura, i senatori Pietro Marcenaro e Luigi Manconi - sono rimasti shoccati e che l’Europa ha da parte sua stigmatizzato il comportamento italiano. Il nostro tasso di civiltà, già messo a dura prova nelle carceri, è di nuovo sotto l’attenzione del mondo. Per i nostri Annali, una storia che merita di essere conosciuta. L’anno scorso tre giovani «ospiti» del Cie di Crotone (un algerino, un tunisino e un marocchino) vennero arrestati perché erano saliti su un tetto (sei giorni, senza cibo!), chiedendo libertà e lanciando calcinacci. Il tribunale di Crotone, giudice monocratico Edoardo D’Ambrosio - dopo aver visitato la struttura ed averla definita «mancante degli standard necessari per accogliere esseri umani» - li assolse (con approfondita motivazione), riconoscendo la loro «legittima difesa» nei confronti di un «trattamento inumano e degradante». In attesa che i Cie vengano chiusi, mi fa piacere qui ricordare quel giudice, il suo coraggio e la sua solitudine.

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