Quale storia?

Secondo Walter Benjamin "solo all'umanità redenta tocca interamente il suo passato. Vale a dire che solo per l'umanità redenta il passato è citabile in ognuno dei suoi momenti. Ognuno dei suoi attimi vissuti diventa una 'citation à l'ordre du jour' - e questo è il giorno finale". Benjamin era ebreo e, se ho ben capito, questa concezione della storia conserva parecchio del profetismo/messianismo ebraico: la storia è lì, compattamente conclusa, sfogliarla e ripercorrerla sarà tuttavia possibile solo il "giorno finale", e a una umanità - o a quella parte dell'umanità - che finalmente sia "redenta". Una simile concezione è passata poi in filigrana al cristianesimo, mescolandosi con la visione tutta mondana, ma a suo modo anch'essa provvidenzialistica, della storiografia romana per la quale - da Livio in poi, credo - la forma della storia è la storia universale della Roma universale. A me, laico e un po' crociano, questa concezione non piace. Troppo provvidenzialista, appunto: presuppone un pensiero superiore che organizza gli eventi e li mette in bella e ordinata fila. Anzi, forse, li crea. L'uomo può solo leggerli. A me pare si debba ritenere, invece, che la storia è, semplicemente, la riflessione che l'uomo fa sul suo presente e il suo destino. La storia, come io la concepisco, è una riflessione di colui che la scrive, nulla di definitivo e concluso. Non c'è una Storia, ma tante singole storie: sempre e solo ricerche, riflessioni sulla riflessione. Io non dico che Dio è morto, ma che Hegel è morto (però, lo ammetto, anche la crociana "religione della libertà" è un po' provvidenzialista).
C'è suicidio e suicidio
Bene fanno, e spero continueranno a fare, i parroci che accolgono in chiesa, per il funerale, quegli imprenditori che, in questi difficili giorni, si suicidano nell'angoscia di non poter tirare avanti. Pare che questo comportamento si verifichi di frequente in Veneto. Uno dei parroci coinvolti ha detto, con molta saggezza (e dottrina, credo): "Ci penserà il Signore a giudicare. Noi preghiamo. Il prete non è un giudice". Un altro parroco della stessa regione ritiene invece di poter sostenere stando alla stampa - che quello dell'imprenditore accolto in chiesa è "un suicidio per disperazione", il gesto "di un uomo soffocato che vede nel suicidio l'unica boccata d'aria" e quindi resta degno di umana compassione e benevolenza cristiana, mentre per Piergiorgio Welby si deve parlare di "dispregio della vita", di "volontà lucida" anche se "provata da una lunga sofferenza", e pertanto le porte della chiesa a lui non possono essere aperte. Costui ha ritenuto di poter distinguere, con sottile ma inaccettabile acribia, tra la "disperazione" dell'imprenditore e la sofferenza, "lunga" ma evidentemente non disperata, di Welby. Io invece ritengo che il gesto estremo di Welby sia stato un grande gesto di amore, di esemplare dignità di fronte alla sconfitta esistenziale. Leggo sul Foglio: "Camus" e la "disperazione di vivere come amore per la vita": bellissimo. Ai funerali di Welby (l'ho già ricordato) tra la folla sotto il palco assistevano due suorine, che forse avevano curato il povero Piergiorgio. Le invitai a salire su e loro salirono, si inginocchiarono a fianco della bara e pregarono, in raccolto silenzio. Un gesto esemplare per umanità e senso religioso. Mi è rimasto nella memoria e nel cuore. Ma che ne sappiamo, io e quelle due suorine, di diritto canonico?
Tempo circolare e tempo laico
Si è celebrata a Tivoli, domenica scorsa, la festa della Madonna di Quintiliolo, informano i quotidiani. Si tratta di una ricorrenza che risale al XVI secolo. Ogni anno, la prima domenica di maggio, la sacra icona della Madonna viene traslata, a bordo di una macchina processionale realizzata in cedro del Libano, nella cattedrale di San Lorenzo. Lì resterà, esposta alla venerazione dei fedeli e degli agricoltori in quanto Madonna dell'abbondanza e dunque protettrice dei raccolti - fino ai primi di agosto. La stampa romana dà notizia di analoghi festeggiamenti che si svolgono in altri paesi laziali. Mi viene fatto di pensare che queste antichissime festività in fondo esprimono una concezione del tempo circolare, da "eterno ritorno", non nietzschiano ma legato alla realtà della società contadina, che conosce solo un tempo ripetitivo, con i suoi eterni, ricorrenti obblighi dettati dal ciclo vegetativo. Su tali obblighi si sono innescati riti sacri che hanno espresso la funzione "pubblica" della chiesa e, con lei, dato un significato intrinseco e indissolubile a ogni giorno dell'anno, alla vita e alla società intera. La chiesa (ma un po' più flebilmente di ieri, va riconosciuto) chiede anche oggi "spazi pubblici". Quali forme essi potranno prendere? La società moderna, non più agricola, si svolge in un tempo lineare, il tempo - piaccia o no - del progresso. E' una dimensione aliena da ripetizione, quindi da riti che possano evocare l'Eterno che si ripete e immobilmente si rinnova. Il progresso non può attardarsi, esige addirittura la "distruzione creatrice", secondo Werner Sombart.
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