Prova di fiducia nelle mani Bce

Cosa farà la Bce? E cosa dovrebbe fare? Le dichiarazioni rilasciate dal presidente Draghi hanno cambiato le prospettive dell'Eurozona, ma anche generato aspettative che ora sarebbe pericoloso deludere.
La seconda domanda è la più semplice. Ciò che la Bce dovrebbe fare è abbastanza ovvio, e lo stanno ripetendo da tempo quasi tutti gli economisti e operatori finanziari al di fuori della Germania. La Bce dovrebbe acquistare sul mercato secondario i titoli di Stato di Paesi come Italia e Spagna che, seppure in una posizione di solvibilità, sono diventati illiquidi perché hanno perso la fiducia dei mercati. I dubbi sulla loro permanenza nell'euro drenano risorse finanziarie dai Paesi del Sud Europa, e l'incertezza blocca qualunque decisione di investimento. Senza fiducia non vi può essere crescita, e l'assenza di crescita alimenta ulteriore sfiducia. Solo un prestatore di ultima istanza con risorse illimitate come la Bce può interrompere questa spirale perversa.
In una crisi di fiducia, le aspettative hanno un ruolo centrale. L'effetto delle parole del presidente Draghi ne è la prova più evidente. Per questo, le modalità di intervento e di comunicazione della banca centrale sono altrettanto importanti di quanto ciò che essa fa per davvero.
Alcuni osservatori hanno auspicato che la Bce annunci un tetto allo spread sui titoli di Stato, e poi agisca di conseguenza, comprando sul mercato tutto il debito che è necessario per raggiungere questo obiettivo. Questa modalità di intervento ha due inconvenienti, tuttavia. Innanzitutto, la Bce perde il controllo della quantità dei titoli acquistati, che viene imposta dai mercati. È difficile immaginare che ciò trovi il consenso anche solo di una maggioranza dei membri del Consiglio della Bce. In secondo luogo, è impossibile stabilire in modo non arbitrario quale sia il livello "giusto" intorno a cui stabilizzare lo spread. Per questo, è preferibile una procedura che non costringa la Bce a una prova di forza con i mercati.
Come già hanno fatto le banche centrali americana, inglese e giapponese, la Bce dovrebbe semplicemente annunciare che, nell'arco dei prossimi trimestri, intende acquistare sul mercato secondario una ingente quantità predefinita (e comunicata in modo trasparente) di titoli di Stato e altre attività finanziarie con specifiche caratteristiche. La ragione di questi acquisti dovrebbe essere spiegata con cura, per guidare le aspettative degli operatori.
L'intervento dovrebbe avere l'obiettivo di ripristinare liquidità e fiducia su un segmento di mercato che, pur essendo di importanza fondamentale per alcuni Paesi dell'area euro, ha oggi assunto quotazioni del tutto scollegate dai fondamentali sottostanti, con effetti dirompenti sull'economia e sul credito di questi stessi Paesi. La Bce dovrebbe inoltre spiegare che valuterà l'effetto di questi interventi nei mesi a venire, e che gli acquisti potrebbero continuare se le condizioni di mercato lo richiederanno. Gli interventi della banca centrale non avrebbero lo scopo di finanziare i disavanzi fiscali, bensì di ripristinare condizioni di normalità in comparti del mercato che sono diventati illiquidi, e di trasmettere gli impulsi di politica monetaria là dove ve ne è più bisogno.
Basterebbe tutto ciò a riportare fiducia sui mercati? In una prospettiva di medio termine, la risposta dipende soprattutto dal contesto politico europeo. L'intervento della Bce sarebbe insufficiente se persistessero dubbi rilevanti sull'opportunità di procedere speditamente verso un'unione bancaria e, in una prospettiva meno ravvicinata, verso una qualche forma di unione politica. In coerenza con l'esito dei recenti summit intergovernativi, l'azione della Bce andrebbe pertanto inquadrata in un processo di accelerata integrazione economica e politica europea. Come parte di questo processo, i governi europei dovrebbero sostenere l'azione delle autorità monetarie non solo a parole ma anche nei fatti, in particolare sollevando la Bce dalla responsabilità di eventuali perdite sui titoli acquistati, in modo da consentirle di rinunciare esplicitamente allo status di creditore privilegiato sui titoli in suo possesso.
È questo ciò che faranno le autorità monetarie e politiche europee nel prossimo futuro? Se la risposta sarà positiva, forse questa prima settimana di agosto potrebbe essere ricordata come un punto di svolta nella crisi dell'euro. Ma le incertezze e i tentennamenti passati dei politici europei e della stessa Bce impongono estrema cautela, e forse anche un po' di scetticismo. Sul Financial Times di ieri un articolo di uno dei padri fondatori dell'euro, Otmar Issing, esprimeva critiche sprezzanti nei confronti degli scenari qui sopra auspicati. Se il pensiero di Issing fosse davvero condiviso da chi ha responsabilità politiche oggi in Germania, dovremmo prepararci a una rapida fine della moneta unica.
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