Progresso

Dalla Rassegna stampa

Giorni fa, in tv, mi sono rivisto un film, “L’ultimo samurai”, non eccezionale ma abbastanza movimentato da farmi passare in relax la noiosa serata. Il film racconta la romanzesca vicenda di un ufficiale dell’esercito americano che, per liberarsi dagli ossessivi ricordi dei massacri di tribù indiane perpetrati da quell’esercito e in particolare da un incosciente colonnello Custer, accetta di andare in Giappone a istruire i primi nuclei delle Forze armate di un Paese che, dietro all’imperatore, vuole mettersi al passo con l’occidente di cui riconosce, malvolentieri, la supremazia. La storia si svolge, mi pare, nel 1877. L’imperatore, in particolare, vuole disfarsi della resistenza opposta alle riforme da un potente samurai, Saigo Takamori, legato a una millenaria tradizione che l’occidentalizzazione sta facendo scomparire. So poco o nulla dei samurai ma credo che il film, a parte l’inserimento romanzesco del capitano americano, sia fedele alla storia.

Mentre sul monitor si dipanano le sequenze, mi viene fatto di annotare che la spietata liquidazione di quella antica casta guerriera avvenne in contemporanea con la repressione del banditismo nell’Italia postunitaria, con la guerra di secessione americana (1861-1867) e magari anche con le leggi laiciste di Jules Ferry (1880-81). Come dire che la nascita dello stato moderno è avvenuta, sia nel lontano oriente sia nel nostro occidente, in modi similari, cioè scontrandosi con settori della società minoritari ma capaci di opporre una accanita resistenza. In Italia, forse, il banditismo filoborbonico raccolse anche oscuri desideri dei cattolici intransigenti che a lungo boicotteranno lo stato unitario. Se andiamo a frugare nei palchetti più sperduti della storia, troviamo però una quantità di eventi più o meno coevi e riconducibili alle stesse radici, dall’Asia del sud-est al medio oriente, dal Messico dei cristeros alla Russia della guardia bianca e dell’ateismo assurto a dottrina di stato. È dunque inutile prendersela con il laicismo, l’anticlericalismo di stampo francese e i suoi eccessi, l’ideologismo e il nichilismo. Quello francese è uno - forse quello più articolato sul piano teorico - dei tanti modelli su cui nel XIX secolo si è venuto formando lo stato industriale e contemporaneo, al quale tradizioni immobili, anche se venerabili, non potevano adeguarsi. Ne venne fuori non solo in Europa - una lacerazione culturale e antropologica, a tutt’oggi incredibilmente sanguinante. A questa ricostruzione (certamente sommaria e approssimativa) si può obiettare che negli Stati Uniti la vittoria del nord industrializzato non comportò l’infezione laicista tipica della forma francese. All’obiezione si può contro-obiettare che la società americana era in larga maggioranza protestante, grazie alle proprie origini - i puritani fuggivano dall’Inghilterra per motivi religiosi, per poter liberamente praticare la loro fede -, era vaccinata contro l’intransigenza, la sua religiosità somigliava a un deismo appagato da quel “In God we trust” che è assai poco vincolante sul piano “pubblico”. Per contra, si potrebbe ugualmente osservare che la formazione degli stati del medio oriente non ha avuto conseguenze sul piano religioso: le attuali vicende ci ricordano però che in quei Paesi le fazioni fondamentaliste sono sempre in lotta, anche armata, contro il pieno dispiegamento delle potenzialità democratiche insite in nuce nella forma-stato moderna.

Tornando all’Europa, si rinfacci pure allo stato nato sul modello francese il suo dottrinarismo anticlericale. C’è tutta una bellissima cultura cattolico-tradizionalista che in Francia continua felicemente a combatterla, con riflessi e ricadute anche fuori di Francia: si veda, esemplarmente, quel grande scrittore che è l’inglese, e cattolico, Chesterton, con la sua smagliante polemica contro il positivismo di stampo francese. Queste opposizioni hanno insomma una buona quota di ragioni da sciorinare, ma a me pare eccessivo costruire su questa polemica una intera filosofia regressiva (ma aggressiva) che mette assieme il laicismo con il nichilismo, e fa di questo impasto la causa assoluta del declino dell’occidente. La prospettiva storica rende ragione e giustifica la tensione laicista, ne riduce però le responsabilità: come ci ricordano anche le vicende giapponesi, la nascita dello stato moderno è un fenomeno mondiale, globale. E per quel che riguarda l’Europa attuale, non è affatto detto che il suo travaglio sia il segno di una decadenza imputabile a una perdita dei valori: questo giudizio rispecchia una concezione che rinvia dritti al dramma biblico di Sodoma e Gomorra: è moralismo, non storia. La crisi attuale potrebbe essere invece interpretata come l’avvio di un laboratorio di innovazione che veda il passaggio dallo stato-nazione a una concezione diversa, di stampo federalista, delle istituzioni. Dove lo stato-nazione è nato, lì potrebbe essere liquidato come inutilizzabile relitto. Che l’Europa sia da considerare un laboratorio d’avanguardia culturale e istituzionale non è ipotesi del tutto azzardata.

 

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