Progetto polis

Riferendo di un recente intervento del presidente della Bce, Mario Draghi, un quotidiano utilizza, nel sommario, il termine "polis" (lo virgoletto io, non il quotidiano). Leggo e rileggo, non lo trovo come pronunciato direttamente da Draghi, cerco di capire se e quanto la forzatura giornalistica sia fedele. Nel suo intervento, il presidente della Bce ricorda ancora una volta che le difficoltà dell'Europa provengono non dall'euro ma dal "deficit istituzionale" che caratterizza l'Eurozona, e quindi sollecita - nei modi cauti che si addicono alla sua carica - perché tale vuoto venga colmato: non parla di "stato federale europeo" - anzi respinge l'ipotesi - ma chiede che l'Eurozona sviluppi "una capacità decisionale forte, una unione politica in parallelo con l'unione fiscale...". In questo contesto, il termine "polis" mi pare una bella trovata, molto azzeccata. Forse è un po' prevaricatrice rispetto a quanto effettivamente detto da Draghi, ma Draghi avrebbe potuto, potrebbe farlo suo senza difficoltà. Non è anche lui, consapevole o no, imbevuto di una cultura politica - quella italiana - nella quale il realismo machiavelliano è centrale?
Un po' più sotto, il quotidiano riferisce anche che Draghi avrebbe affermato che "i paesi dell'Unione monetaria costituiscono una comunità legata da un destino comune", ricordando che anche Helmut Kohl, quando era capo del governo tedesco, insisteva sul concetto di un "destino" (schicksal) europeo come fondamento dell'auspicata e necessaria costruzione continentale. Trovo questa citazione molto wagneriana, ma assai poco laica. Il destino è qualcosa di oscuro, non sí sa mai bene dove possa andare a sbattere, è ingovernabile dall'uomo già sul piano personale, figuriamoci su quello pubblico. Machiavelli non usa il termine, fa invece largo uso del termine "fortuna" che assiste e favorisce l'azione umana, la scelta consapevole e razionale dettata dalla "virtus" civica. Il termine "polis" nasce in Grecia e, nella cultura occidentale, è alla radice di ogni riflessione politica (politica, da "polis", appunto); di ogni riflessione politica preciso - laica, cioè rigorosamente relativa a istituzioni, diritto, legge: la nascita della "polis" come culla e sede della civiltà viene mitizzata, nella Grecia classica, nella gara tra Apollo, il dio della cetra, simbolo della cultura urbana nascente con la sua nuova concezione del diritto, e Marsia, il rozzo suonatore del flauto, strumento musicale del primitivo mondo agreste. Insomma, più appropriato sarebbe stato affiancare il termine "polis" con "progetto", piuttosto che "destino".
Il dilemma di Böckenförde
In contemporanea, il cardinal Bagnasco esorta a riformare lo stato e a rifondare la politica. Chissà se intenda parlare delle stesse categorie di cui tratta Machiavelli. Resto sempre un po' diffidente quando sento un cattolico definire la politica e le sue regole: il mondo cattolico ha bisogno di inserire, nel dibattito sulla politica, la questione etica. Recentemente la crisi dell'Europa è di nuovo attribuita, da un'eminentissima autorità della chiesa, a una "crisi etica che la minaccia", a una "stanchezza della fede", ecc. Un influente pensatore e giurista cattolico tedesco, Ernst-Wolfgang Böckenförde , è famoso per aver enunciato un "diktum", un dilemma, con il quale ritiene di aver definitivamente provato l'impossibilità dello stato moderno democratico a sopravvivere facendo a meno del puntello della religione: "Lo stato liberale vive di premesse che non è in grado di garantire". Se tenta di fornire garanzie sul valore e il senso delle sue norme e leggi, diventa uno stato etico (cioè, si dà contenuti sostanziali e non solo regole formali di funzionamento) e quindi contraddice alla pretesa di essere "liberale". Il dilemma di Böckenförde non mi convince. Penso che lo stato, massimamente quello della fase liberale, sia un sistema di leggi che hanno la funzione di regolare il confronto tra spinte, pulsioni, tensioni, ecc., che - queste sì - hanno origine nella sfera dell'etica e delle convinzioni soggettive (o di gruppi, ceti, ecc.). Lo stato liberale nasce per controllare, attraverso il rigore laico delle sue forme istituzionali, queste tensioni, altrimenti distruttive: c'è ancora un'eco del famoso "homo homini lupus" di Hobbes.
Il giornalista che ha etichettato l'intervento di Draghi con il termine "polis" ha avuto un bella intuizione politica: l'Europa non deve essere "salvata" da chissà quale malattia oscura (imposta dal destino?); va semplicemente costruita con lo sforzo volontaristico e l'intelligenza dei suoi cittadini, laicamente. E sia chiaro: la laicità non è un "pensiero unico" "politically correct", ma semplicemente uno strumento. Un chirurgo userà, per ogni intervento diverso, un numero preciso e necessario di strumenti, quelli non necessari possono persino impacciarlo. Così la costruzione della "polis" abbisogna di poche ma ferme definizioni: non si parli di destino (sono stato complicato? Ahimè, ho dovuto arrangiarmi da solo: diffido dei politologi, e di filosofi capaci di aiutarmi non ne vedo, in giro).
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