Presidenzialismo, arriva la proposta del Pdl Pd: "Può essere la tomba delle riforme"

Dalla Rassegna stampa

Sette emendamenti. «O solo quattro, comunque alcuni...», taglia corto Gaetano Quagliariello. Tanti quanti bastano per mandare gli italiani a votare direttamente il presidente della Repubblica. La mossa era stata annunciata da Berlusconi e Alfano qualche settimana fa, e corredata da un lapsus del segretario del Pdl che aveva chiamato il Cavaliere "capo dello Stato". E adesso quell'idea prende gambe. Anzi prende la rincorsa. Perché - annuncia sempre il vice presidente dei senatori pidiellini, Gaetano Quagliariello - oggi o, al più tardi domani, gli emendamenti saranno presentati. Così, giovedì quando il dibattito sul testo di riforme licenziato dalla commissione Affari costituzionali approderà nell'aula del Senato - gli emendamenti saranno già sul tavolo. «I tempi per introdurre il voto diretto del capo dello Stato ci sono, casomai manca la volontà politica», secondo Quagliariello. Convinto anche che se il Pd, o una parte dei Democratici (come Follini, Cabras, Tonini, Ceccanti, Morando, Giaretta) e magari anche i Radicali, sono propensi ad andare a vedere, allora la riforma è a metà del guado. «Qualcosa si muove», assicura.

Ma sono conti senza l'oste. Carlo Vizzini, il presidente della commissione Affari costituzionali, non è disposto a prendere per buona l'ipotesi che si presentino degli emendamenti di questa portata e si vada avanti in aula come se niente fosse. «Se vengono ritenuti ammissibili, allora bisogna ritornare in commissione a dibattere», avverte Vizzini. E poi? Per molti senatori del Pd «sarà solo una grande ammuina». I tempi non ci sarebbero più per fare un bel niente. Ancora Vizzini: «Sevotassimo la riforma così com'è, cioè con la riduzione dei parlamentari, entro il 20 giugno, resterebbero 45 giorni alla Camera per un ok senza modifiche. Tornerebbe qui, dopo l'estate, perla seconda lettura. Tutto il resto è devastante: non si cambia nulla».

Luciano Violante guida il gruppo di sherpa che hanno presentato la bozza di riforme istituzionali e che ora dovrebbero rimettere mano alla legge elettorale. Lancia l'allarme: «Siamo a un passo dalla tomba delle riforme. La strada allora potrebbe essere questa: il Pd s'impegna a prendere in esame la materia nella prossima legislatura. Intanto andiamo avanti con la riforma elettorale». Rincara Pino Pisicchio, uno degli sherpa, giurista: «La dilatazione dei tempi ormai è vistosa». «Una cosa è certa - afferma Enzo Bianco, ex presidente della Affari costituzionali - sarebbe imperdonabile se non cambiassimo la legge elettorale». Stefano Ceccanti è, nel Pd, tra chi ritiene invece che il tempo ci sia, e bisogna impegnarsi pancia a terra. «Un modo - aggiunge Ceccanti - per rispondere a chi nel partito pensa che, se in Parlamento si tira a campare, tanto vale andare a votare». Qui il riferimento è a Stefano Fassina e ai cosiddetti "giovani turchi" come Matteo Orfini, che ieri hanno innescato nel Pd la lite sul voto anticipato.

Una tavola rotonda a Milano sulle riforme a cui partecipano sia Quagliariello che Violante non porta a nulla di nuovo. Fotografa la situazione, con condimento di buone intenzioni. Accanto a questo c'è l'appello (pubblicato da Repubblica) di 12 giuristi, tra cui Zagrebelsky e Rodotà, affinché non si stravolga la Costituzione e ci si limiti solo alla riduzione dei parlamentari. Il costituzionalista Augusto Barbera dissente: «Quell'appello lo considero al limite del grillismo».

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