Premier e Berlusconi, l’asse su Ue e riforme

Dalla Rassegna stampa

Più che a un patto ormai somiglia a un abbraccio asimmetrico. L’asse istituzionale cementato dalle due ore di colloquio di ieri a Palazzo Chigi sottolinea la subalternità di Berlusconi a Renzi; ed esalta la leadership del premier. Dietro questa fotografia, superficiale come tutte le istantanee, c’è sicuramente molto di più: uno scambio sostanzioso e conveniente per entrambi, che parte dalla riforma del Senato, si proietta su quella del sistema elettorale e va oltre, verso le elezioni per il Quirinale e magari, in una prospettiva breve o lunga, il voto politico. E, incombente, si allunga l’ombra dei processi che condizionano il presente e il futuro di Berlusconi. Ormai Renzi è, nell’immaginario dell’ex premier e della sua cerchia di fedelissimi, il leader che «la sinistra ha trovato sotto un cavolo», nelle parole ammirate e acidule dell’ex presidente del Consiglio.

Adesso perfino il figlio Pier Silvio fa il tifo per lui, a conferma della crisi di un mondo egemonizzato fino a pochi mesi fa; ma talmente logorato e acefalo da riconoscersi nel capo del Pd, per quanto atipico, e nella sua politica. Le cronache riferiscono che all’incontro di ieri mattina presto c’erano Renzi col vicesegretario Lorenzo Guerini e, dall’altra parte, Berlusconi, Gianni Letta e Denis Verdini, onnipresente garante del dialogo tra i due leader. E che si sono trovati d’accordo e pronti a procedere accompagnati dall’avverbio «rapidamente». Si tratta di un avverbio connaturato allo stile del premier. Ma stavolta reso concreto da due esigenze. La prima è di evitare che si gonfino i malumori dentro Forza Italia e nello stesso Pd sulla fine del bicameralismo e sui contorni dell’Italicum, la riforma elettorale abbozzata nel gennaio scorso nel primo incontro, nella sede del Pd in via del Nazareno: colloquio che durò più o meno quanto quello di ieri.

La riunione dei parlamentari di FI che ieri doveva avallare l’intesa con palazzo Chigi si è risolta con l’ennesimo «aggiornamento» alla settimana prossima, perché la spaccatura era certa. Segno che il «renzismo» berlusconiano è percepito come un cedimento a presunti «diktat» del governo. La seconda esigenza è di azzerare la strategia della melina del Movimento 5 Stelle, che ha tentato di incunearsi nel patto Pd-FI, e di farlo saltare. Dopo quello che è successo ieri, è difficile cambiare direzione di marcia. I due partiti si incontreranno lunedì con un percorso istituzionale già segnato. Beppe Grillo potrà contestalo, non condizionarlo più di tanto. Anche perché il patto Pd-FI si estende alla politica europea. Lo scontro con la Germania sulle misure economiche travalica i confini di partito. E riguarda invece, e molto, quelli geografici.

E’ il conflitto tra Europa del Nord e nazioni mediterranee a tenere banco. L’attacco a Renzi arrivato ieri dal vertice della Bundesbank e dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble, in materia di flessibilità di spesa, conferma che il semestre di presidenza italiana sarà in salita: una passerella, forse, ma sotto forche caudine dell’ortodossia finanziaria tedesca.

 

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