Il potere del digiuno non è il ricatto, ma la sua visibilità (sua di Pannella)

Sul Corriere di domenica 19 febbraio, Sergio Romano ha mosso alla pratica dei digiuni radicali l'obiezione più diffusa: dove si vive in una democrazia rappresentativa e non in uno stato di oppressione in cui non resta che usare il proprio corpo contro il nemico - una tale pratica diventa ricattatoria. Da Radio Radicale, Pannella ha ribattuto che la sua riforma della nonviolenza gandhiana non ha nulla a che vedere con gli scioperi della fame "violenti" dei Bobby Sands, e di chi quasi scaglia il proprio cadavere contro l'avversario perché non gli è rimasta altra arma. I Radicali considerano inutilizzabile il digiuno come mezzo per imporre una proposta di fazione, e lo affrontano solo per chiedere al potere di rispettare la legalità che esso stesso si è data, quando questo potere la tradisce. Lo affrontano, anche, senza scopi funerari, con "prudenza", e come dice Pannella con uno dei suoi efficaci giochi di parole, "rischiando la vita contro la morte". In questa prospettiva, il ragionamento di Romano si rovescia: è proprio dove un potere si è assegnato dei limiti, e non è dunque del tutto arbitrario, che la pratica può servire. Personalmente credo che grazie alla tempestività di Pannella, alla sua occhiuta visione politica e alla sua tenacia da santo laico, il digiuno sia diventato nel suo caso una forma di lotta efficace: e anche di recente, nella battaglia per l'amnistia, ha avuto un ruolo cruciale. Ma in termini generali, non si può negare che ponga problemi più sottili.
Anche se non si pretende d'imporre una propria ideologia ma di far rispettare il diritto esistente, non si può sfuggire alla scelta tutta politica delle priorità legali che vengono portate nel dibattito pubblico in modo così emergenziale. Queste priorità sono inevitabilmente fissate da chi si è conquistato nel tempo un'autorevolezza e una influenza, anche su quei media da cui pure i Radicali vengono così spesso vessati. È un'ovvietà, ma un'ovvietà decisiva: se molti cittadini organizzati, ma privi di una iconologia pubblica, fanno un digiuno per veder riconosciuti dei diritti, questo digiuno non conterà nulla. I Radicali, giustamente, puntano proprio sul fatto che la nonviolenza presuppone conoscenza, mezzi di informazione reali e non lottizzati come quelli italiani. Ma anche se questi mezzi ci fossero, potrebbe sempre trattarsi di scegliere tra diversi gruppi e diverse rivendicazioni, tutte magari decise a entrare nel cerchio della visibilità con l'urgenza di una lotta giocata sui tempi brevi che concede il corpo umano. Allora quale urgenza legalitaria si sceglierà per prima? Anche all'interno dello stesso movimento radicale, è difficile condurre una lotta di questo tipo senza l'implicita delega dello spunto iniziale a Pannella, la cui influenza determina le glorie e le aporie di questa formazione politica. Ricordo ad esempio scioperi di Beltrandi, o di altri, a cui la stessa Radio Radicale non riusciva ad attribuire la medesima attenzione se mancava il catalizzatore pannelliano. Inoltre, c'è un problema in più: se la nonviolenza implica una visibilità, che a sua volta, secondo la logica dei mass media, è più facile avere se si è già concentrata in precedenza su di sé, questi stessi media tendono poi fisiologicamente (e non per patologia) a far rientrare l'urgenza nel tran tran, rendendo gli spettatori passivi. Ciò detto, scendendo dalla teoria ai fatti, i Radicali dimostrano un rigore e un fiuto difficilmente misconoscibili da chi ha a cuore lo stato di diritto. Bisogna solo riflettere meglio su quanto la nonviolenza del digiuno sia legata, in forme in parte irriducibili alla democrazia, a quella peculiare, "atmosferica" concentrazione di potere detta carisma: che è una caratteristica dovuta a dinamiche di relazione e di situazione, non una qualità intrinseca delle persone. E bisogna anche capire meglio quanto questa pratica sia appesa alla informazione di media portati dalla loro stessa natura a fagocitarla e a spegnerla.
© 2012 Il Foglio. Tutti i diritti riservati
SU