Politiche per l'autonomia energetica: una necessità dopo la crisi libica

Tutto nello spazio di un weekend. Lo scontro tra le tribù libiche che ha interrotto il gasdotto verso l’Italia pare essersi risolto. Sarà l’esercito di Tripoli a garantire che il «Greenstream» possa lavorare a pieno ritmo. E allora mettiamola così: anche per quest’inverno ci è andata bene. In fondo l’attacco qaedista a In Amenas dello scorso gennaio ha ridotto le forniture algerine solo per pochi giorni, e ormai la stagione fredda è al termine. Non c’è stata alcuna «guerra del gas» tra Russia e Ucraina come nel 2006 e 2009; nessuna nave ha tranciato il tubo algerino nello Stretto come nel 2008; neppure si sono registrate frane sulle Alpi svizzere e lunghi blocchi del gas dal Nord Europa (2010 e 2011); la «primavera libica» malgrado qualche colpo di coda si è esaurita (2011); l’Adriatico è rimasto calmo e le navi metaniere dal Qatar non hanno dovuto aspettare per rifornire l’impianto offshore di Porto Viro (2012). Tutti eventi che di volta in volta hanno creato non poca ansia a un sistema che importa più del 90% del gas che gli serve. Che lo usa in due case su tre e che con esso produce metà della sua elettricità. La crisi e il calo dei consumi hanno fatto passare in secondo piano la riflessione sulle infrastrutture per l’import: se ce ne vogliono (e pare essere questo il caso) e quante ce ne vorrebbero. La Strategia energetica nazionale - che finirà indecorosamente il suo lungo cammino post referendum nucleare come un semplice «atto» del governo, cioè a memoria dei posteri - ha abbracciato una versione minimalista delle opere da realizzare, sposando la tesi della crisi lunga e confidando anche sul fatto che i tubi che oggi arrivano in Italia a mezzo servizio in futuro potranno essere riempiti di più. Certo, Roma non è Washington, che sulla parola d’ordine dell’«indipendenza energetica» ha imperniato la sua politica estera. Ma qualcosa in più si potrebbe fare. Un esempio, già proposto in passato: se gli investitori privati o i grandi gruppi non hanno alcun interesse a infrastrutture come un rigassificatore, lo potrebbe fare la mano pubblica, che ora può contare su uno strumento come la Snam. Per una volta l’onere in bolletta (tutto sommato contenuto) sarebbe pienamente giustificato dai frutti che produrrebbe.
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