Persone, non personalismi

Dalla Rassegna stampa

Nei giorni scorsi, sul quotidiano Il Riformista, Emanuele Macaluso si è domandato: "Si può costruire o rinnovare la democrazia senza i partiti?". La domanda è, ovviamente, retorica, ma la risposta rimane comunque aperta ad alimentare il dibattito. È una discussione che anche Arturo Diaconale ha avviato ormai da tempo su l'Opinione e con il seminario Lib-Dem, cioè con un percorso di formazione politica intitolato "Scriviamo insieme un'altra storia", rivolto soprattutto agli studenti universitari, ma non soltanto. La risposta che il seminario ha provato a dare è quella di costruire un "altro" terreno. Un terreno "altro". Diverso. Un terreno che sia allo stesso tempo liberale e democratico. Ma facciamo un passo indietro. Nel 1947, il liberale Ernesto Rossi scriveva: "La democrazia non è tanto il regime della sovranità popolare, quanto il regime del controllo sulla classe governante". In quegli anni, lo stesso Piero Calamandrei sosteneva che i partiti, così come erano stati concepiti, avevano "cambiato profondamente la natura degli istituti parlamentari" e, perciò, auspicava che la vita interna dei partiti venisse regolamentata secondo principi costituzionali chiari e adottati da tutti perché dalla "organizzazione democratica dei partiti" dipendeva la vita stessa della nostra democrazia appena riconquistata dopo il ventennio fascista. Ma non basta, anche il liberale Giuseppe Maranini, in quel frangente, affermava: "I partiti, vale a dire le segreterie dei partiti, tengono tutto il potere, spartendoselo. Il popolo è chiamato periodicamente a votare: ma non può scegliere gli uomini nei quali ha fiducia: può solo determinare la proporzione fra gli eletti delle diverse segreterie". Sembra una frase scritta oggi. Il potere partitocratico appare identico, anzi: è peggiorato. E così, anche se nel biennio 1992/94, uno ad uno, sono crollati i vecchi partiti, il sistema partitocratico, che aveva dominato il nostro regime per quarant'anni, è sopravvissuto benissimo. È necessario, quindi, avviare una "rivoluzione copernicana" che riformi i partiti che hanno occupato lo Stato e soffocato la democrazia. In tal senso, è forse utile ricordare che per rivoluzione copernicana, anche in politica, si intende un cambiamento di prospettiva, di visuale, di punto di vista. I dati del Centro di ascolto Radiotelevisivo parlano chiaro: nell'ultimo anno, la proposta politica di Marco Pannella e dei Radicali è stata silenziata. Il problema principale del nostro sistema politico continua ad essere la mancanza della circolazione delle idee e l'impossibilità da parte dei cittadini di poterle conoscere. Il secondo aspetto, non meno grave, è l'assenza del "metodo liberale" all'interno delle organizzazioni politiche e il soffocamento dei meccanismi democratici dentro i partiti stessi, con l'inevitabile selezione al rovescio della classe politica. Il terzo elemento è l'incapacità di riformare in senso liberale e democratico la legge elettorale che, purtroppo, con il cosiddetto "porcellum", mantiene caratteri esclusivamente partitocratici, verticistici e oligarchici. Spesso si dimentica che la forma delle istituzioni, della legge elettorale e la forma organizzativa dei partiti politici sono il presupposto da cui tutto quanto deriva: governo delle cose o potere fine a se stesso, legalità o illegalità, buona o cattiva amministrazione, soluzione o aggravamento dei problemi, metodo liberale o illiberale, approccio democratico o non-democratico. Non c'è niente di più virulento, oggi, delle degenerazioni partitocratiche di destra, di centro e di sinistra. Al centro della politica e del territorio vi deve essere la persona, non il "personalismo", non il Potere degli apparati o delle segreterie di partito. Innanzitutto, come insegnano i Radicali di Marco Pannella e di Emma Bonino, è importante riuscire a formare classe dirigente e costruire una forma organizzativa non-gerarchica. E così, di conseguenza, il rinnovamento può avvenire rompendo i confini e gli steccati partitocratici dei capi, capetti e capi bastone. Magari ammettendo o, meglio, promuovendo la possibilità della doppia e tripla tessera. La doppia o tripla tessera, infatti, permette ad un iscritto o a un dirigente di un altro partito di potersi associare a più soggetti politici o organizzativi. È una scelta libertaria capace di rompere gli schemi e di abbattere gli ormai secchi steccati di un passato che non passa. È il presupposto per intraprendere un cammino nuovo e diverso per l'alterità dei costumi e dei metodi. L'altro aspetto organizzativo è l'incompatibilità tra gli incarichi di partito e i ruoli elettivi nelle amministrazioni comunali, negli Enti locali, nelle Giunte o nei consigli regionali, nei parlamenti nazionali o europei. Insomma, tutti gli incarichi dirigenziali interni ad un movimento, che si dica o si voglia dire anche liberale, possono essere ricoperti soltanto da chi non svolga già un incarico elettivo nei vari livelli dell'amministrazione pubblica e dello Stato. È il primo passo per sconfiggere i meccanismi verticistici dell'Ancien Régime.

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