Pena di morte, alla Cina il più triste primato

Se da un lato sono sempre meno i Paesi che applicano la pena di morte nel mondo, dall'altro è aumentato l'anno scorso il numero di esecuzioni capitali. È uno scenario in chiaroscuro, quello delineato dal rapporto annuale presentato da «Nessuno tocchi Caino». Numeri dietro i quali si celano migliaia di storie di sofferenza e che mostrano come la macchina della morte sia ancora lontana dal fermarsi. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricordato ieri che «l'abolizione della pena di morte è un obiettivo di civiltà».
Non mancano tuttavia i segnali di ottimismo: i Paesi dove la pena capitale è ancora applicata sono scesi a 42 dai 45 del 2009 e finora sono 155 quelli che l'hanno abolita. Nel 2010, secondo il rapporto, curato da Elisabetta Zamparutti,si è aggiunto il Gabon, mentre le Bahamas hanno superato dieci anni senza praticarla e sono quindi da considerare abolizioniste di fatto e la Mongolia ha annunciato una moratoria. Per questo al presidente dello Stato asiatico, Tsakhia Elbegdorj, è stato assegnato il premio «L'Abolizionista dell'Anno», promosso da Nessuno tocchi Caino.
Il numero di esecuzioni è comunque aumentato: sono state almeno 5.837 l'anno scorso, a fronte delle 5.741 del 2009 e delle 5.735 del 2008, anche se le statistiche per molti Paesi sono sempre imprecise e sicuramente in difetto, a causa della cortina di segretezza di molti regimi. Il primato, ancora una volta, spetta alla Cina, dove analogamente al 2009 si stima siano avvenute l'anno scorso circa 5.000 esecuzioni, l'85,6% del totale. Al secondo posto c'è l'Iran con 546 morti di Stato. Terza la Corea del Nord, con 60 esecuzioni.
Nel 2010 sono state almeno 714 le esecuzioni effettuate in 13 Paesi a maggioranza musulmana, molte delle quali ordinate da tribunali islamici. Nel 2009 erano state 658. Circa il 99% del totale mondiale delle esecuzioni sono avvenute in Paesi dittatoriali.
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