Partiti nel mirino

Antonio Di Pietro ha captato il diffuso umore della gente: il finanziamento pubblico ai partiti, mascherato da contributo elettorale, è detestato. Si tratta, verosimilmente, di una delle norme contro le quali più estesa è la riprovazione. Eppure, nonostante la dilagante antipolitica, nonostante gli scandali emersi (la vicenda Lusi è un autentico capolavoro, quanto ad attestazione dei vortici in cui precipita il finanziamento statale), nonostante la sfiducia che sarebbe da definire unanime verso i partiti, nessuno finora aveva provato a rilanciare un referendum abrogativo della legge che assegna fondi pubblici ai partiti.
Ricordiamo che sono doviziosamente foraggiati quanti ottengano almeno l'1% dei voti alla Camera (anche senza eletti), e poi chi abbia un europarlamentare, e ancora chi concorra al Senato (non è sempre necessario ottenere un seggio) e nei vari consigli regionali. Soldi in quantità arrivano pure ai promotori di referendum, purché sia raggiunto il quorum. In passato, una prima volta il referendum fallì: fu nel 1978, quando i sì restarono sotto il 45%. Tutt'altra musica nel '93: più del 90% i favorevoli all'abrogazione, con una partecipazione al voto superiore ai tre quarti degli elettori. Tutto fa pensare che oggi un ipotetico referendum potrebbe contare sia sull'andata alle urne dell'indispensabile maggioranza assoluta, sia su un numero di voti favorevoli all'abrogazione in percentuale che un tempo si sarebbe detta bulgara.
Tuttavia, nel corso degli anni nessun partito aveva mai proposto un nuovo referendum riabrogativo del finanziamento pubblico. Non l'ha fatto la Lega, che pure si qualifica come movimento ostile al palazzo, ma che ha bisogno dei fondi pubblici (investiti poi in Tanzania, com'è di recente emerso, tra lo sconcerto dei fedelissimi bossiani). Gli stessi radicali, con una tradizione pluridecennale di proposte referendarie (non sono mancati, in passato, attacchi ai pannelliani proprio per un eccesso di proposte), non si sono più fatti avanti. Nemmeno le tante sigle della sinistra oggi extraparlamentare hanno mai ritenuto di attivarsi. All'evidenza, il finanziamento pubblico piace e serve a tanti.
L'Idv, inaspettatamente, ha deciso di rompere il vasto fronte degli ostili a modificare lo status quo, annunciando che scenderà in campo per raccogliere le firme. Si vedrà quando il partito deciderà di partire, anche per le limitazioni normative esistenti sullo svolgimento di un referendum nell'anno delle elezioni politiche. Si può star certi, però, di un fatto: quando la raccolta partirà, se i dipietristi sapranno darsi un minimo di organizzazione, avrà successo. La gente non ne può più, anche perché le mani nel portafoglio degli elettori vengono messe ripetutamente, nelle casse dei partiti mai. E sull'uso di quei fondi pubblici da parte di movimenti vivi e morti c'è molto, ma molto, da dire.
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