Parole leggere

1) A proposito di Piera Franchini, 76 anni, affetta da tumore al fegato, che è andata a morire in Svizzera. Il filosofo cattolico Vittorio Possenti non è favorevole - credo - all’eutanasia. E tuttavia, tempo fa, ha evidenziato un singolare paradosso, ricco di un intenso spessore etico. Lo sintetizzo. La pastorale della chiesa cattolica insiste molto su un concetto che così recita: la vita è un dono di Dio e conseguentemente solo Dio può disporre di essa. È un’affermazione così dolcemente perentoria da assumere la forza incontestabile di una ragionevolezza sconfinata. Ma al suo interno si cela un’acutissima contraddizione logica e sociale, che rivela una profonda aporia. La vita costituirebbe l’unico dono del quale dovrebbe disporre esclusivamente il donatore, che pur se ne priva, e non colui che ne è diventato il titolare: ovvero il destinatario del dono. In altre parole, ricevo un dono (la vita) del quale continua a disporre e sul quale continua a esercitare proprietà e volontà colui (Dio) che me ne ha fatto omaggio.
2) “Le parole tra noi leggere cadono” (Eugenio Montale). Contrariamente a quanto si crede, la discussione intorno a due affermazioni contraddittorie e in apparenza assai semplici - “le parole sono pietre” e “le parole non sono pietre” - è tutt’altro che semplice. È un dibattito che va avanti da almeno tre secoli ma che, a ben vedere, ha le sue radici nella riflessione filosofica e morale assai antecedente. L’illuminismo e il pensiero giuridico liberale sembravano aver risolto la questione una volta per tutte, affermando un’incondizionata e tendenzialmente assoluta libertà di espressione (salvo, ovviamente, ingiuria e diffamazione); e proclamando l’irriducibile “innocenza” delle idee. Nessun pensiero è di per sé criminale: ovvero, nessun pensiero e nessuna intenzione sono assimilabili a comportamenti suscettibili di ledere beni giuridici meritevoli di tutela. Scriveva già Hobbes: “Per le intenzioni, che non si manifestano mai come atti esteriori, non vi è posto all’accusa umana”; al contrario “delitti sono solamente quelle colpe che possono essere presentate davanti al giudice, e che perciò non sono semplici intenzioni” come tali non suscettibili di essere accertate. Le costituzioni moderne hanno poi codificato il principio di materialità come condizione essenziale di legittimazione esterna della norma penale: solo il “fatto” umano può essere l’oggetto del divieto (art. 25 della Costituzione italiana); e, del resto, solo il fatto lesivo di beni giuridici può essere penalmente sanzionato. È stata una scelta determinata da una riflessione di secoli e dal confronto di quella elaborazione giuridica con la temperie di società dove infuriavano il fuoco e il ferro. L’esito - quella totale innocenza delle idee e delle intenzioni di cui sopra - è, sotto il profilo della civiltà giuridica, straordinariamente importante, per giunta ragionevolissimo, e tuttavia fragile più di quanto si creda. La contemporaneità, con le sue terribili acquisizioni e le sue spaventose trasformazioni, solleva dilemmi che rendono incerta e comunque non completamente rassicurante quell’affermazione. Un esempio solo: quali sono i limiti da porre alla comunicazione di idee pedofile (l’art. 414 bis del codice penale punisce infatti l’apologia di simili delitti o l’istigazione a commetterli)? A fronte di questo, converrete, gli interrogativi che pone la frase di Beppe Grillo (“se proprio volete bombardare o mandare qualche missile, ve le diamo noi le coordinate”) sono poca cosa: e quello del leader di 5 stelle risulta né più né meno che uno scherzo fesso. O la battuta scema di un comico in declino.
3) A Marco Travaglio, il Grande raccomandatore - ma no: il piccolo gestore di un piccolissimo “traffico d’influenza” (Convenzione di Strasburgo, 1999) - je rode proprio.
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