Parlamento bloccato, fanno festa gli onorevoli incompatibili

Senza la giunta decine di eletti mantengono i doppi incarichi
Il Parlamento italiano lavora in una condizione di sostanziale illegalità? La risposta è sì. Non si parla qui della questione delle commissioni permanenti, bloccata dall’assenza di un accordo di governo che impedisce una conseguente spartizione razionale delle presidenze, quanto dell’assenza della Giunta per le elezioni in entrambe le Camere: molti neoeletti, infatti, sono palesemente incompatibili col ruolo di parlamentari, ma la loro situazione non è stata ancora affrontata per la mancanza dell’organo competente. Il numero complessivo è difficile stabilirlo senza le dichiarazioni in Giunta – in rete si parla addirittura di 59 persone, il 6% dei membri delle Camere che eleggeranno il prossimo presidente della Repubblica – ma alcuni casi sono sotto gli occhi di tutti e, per iniziativa dei Radicali (che su queste genere di cose hanno una certa competenza), anche di un paio di Tribunali della Repubblica. Concentriamoci sui casi più grossi, quelli che riguardano le regioni. Dice l’articolo 122 della Costituzione: “Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e a una delle Camere del Parlamento”. Semplice e chiaro.
Un decreto del 2011, per tutti gli altri, sancisce in realtà che la carica di parlamentare è incompatibile con qualunque altra carica elettiva. Infine una legge dell’aprile 1981, la numero 154, concede agli interessati dieci giorni di tempo per decidere se vogliono gustare la vita del parlamentare o rimanere sul territorio, vicini ai loro elettori : la stessa legge, peraltro, che consente pure ai cittadini di imporgli una decisione rapida attraverso un ricorso in Tribunale.
Qualche nome? Facile. Tanto Nichi Vendola quanto Roberto Cota, per dire, non dovrebbero sedere nel Parlamento italiano a meno di non rinunciare rispettivamente alla presidenza di Puglia e Piemonte: entrambi, sollecitati dai ricorsi al giudice dei militanti radicali, hanno promesso che si dimetteranno a breve e senza aspettare l’insediamento della Giunta, ma ancora non l’hanno fatto. Nel Consiglio regionale a Bari, peraltro, la situazione è paradossale: sono ben dieci, oltre Vendola, i consiglieri eletti a Roma (due sono pure assessori, Stefano e Pelillo, uno in predicato di entrare in Giunta con il rimpasto, Decaro). Divisi per partito si tratta di sei eletti del Pdl – che curiosamente, qualche settimana fa, aveva occupato l’aula del consiglio per chiedere a Vendola di scegliere tra la capitale e la regione – due del Pd e due di Sel. In Lombardia, invece, giganteggia Mario Mantovani, cinque cariche con plurime incompatibilità incrociate: il nostro è, infatti, vicepresidente regionale, assessore alla Sanità, consigliere, sindaco del suo paese (Arconate) e senatore del Pdl. Insomma, non solo è incompatibile a livello nazionale, ma stando alla legge del 1981 anche per gli incarichi congiunti in regione e come sindaco. L’unica speranza di una soluzione rapida, peraltro, sono i ricorsi dei cittadini in Tribunale, perché la faccenda – anche a Giunte insediate – non si risolverà di certo in tempi rapidi: il regolamento concede, infatti, 30 giorni per l’istruttoria e altri 30 per la scelta agli interessati (che comunque potrebbero far finta di niente, come è già successo, e aspettare di essere cacciati col voto dell’aula perdendo altre settimane) che continueranno a percepire il doppio stipendio.
Curiosamente, peraltro, fino a che non c’è la Giunta per le elezioni nessuno – nemmeno volendo – potrà discutere per la prima volta in Senato (finora è stato deputato) della ineleggibilità di Silvio Berlusconi in quanto concessionario pubblico: solo quella è la sede in cui il M5S potrebbe mettere alla prova le dichiarazioni del capogruppo del Pd Luigi Zanda (“voterei per l’ineleggibilità del Cavaliere”). A Montecitorio invece, per dire, pendono anche un paio di ricorsi in cui si sostiene che il Viminale abbia ripartito male i resti tra le varie circoscrizioni, dichiarando elette le persone sbagliate: quello, assai ben documentato, dell’ex Idv Massimo Donadi (oggi Centro democratico), se accolto, comporterebbe la sostituzione di ben otto deputati di vari partiti. Storicamente, però, questo tipo di ricorsi, specialmente se destinati ad essere accolti, vengono lasciati marcire in cantina fino agli ultimi mesi di legislatura. Risultato: le Camere devono pagare al parlamentare ingiustamente escluso tutti gli stipendi arretrati con gli interessi e, per chi fa caso a queste cose, hanno votato le leggi dello Stato con un assemblea sostanzialmente illegale.
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