Pannunzio, il sogno della terza forza

Nel saggio Mario Pannunzio. Giornalismo e liberalismo (Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 324, € 34), Antonio Cardini, ordinario di Storia contemporanea all'Università di Siena, ricostruisce, attraverso le vicende della comunità intellettuale e sentimentale che si coagulò intorno a Pannunzio e al settimanale «Il Mondo» e sfociò nel Partito radicale, uno spaccato di storia civile e politica d'Italia.
Il libro, che si giova di documenti inediti, tra cui le corrispondenze tra Pannunzio e i principali collaboratori del settimanale, da Einaudi a Salvemini, da Croce a Ernesto Rossi e Valiani, chiarisce anche aspetti rimasti per così dire segreti del mondo giornalistico e letterario dall'inizio del Novecento alla fine degli anni Sessanta. L'autore segue la formazione di Pannunzio fin dai tempi in cui collaborava alle riviste «Cinema», «Scenario» e successivamente a «Omnibus», dove apprese da Leo Longanesi il gusto grafico e lo stile giornalistico.
Durante l'occupazione tedesca di Roma, Pannunzio costituì il gruppo clandestino Movimento liberale italiano, che ebbe come organo «Risorgimento liberale», da lui diretto e pubblicato clandestinamente. Nel dicembre del 1943 venne arrestato e rinchiuso a Regina Coeli: riuscì a sfuggire al massacro delle Fosse Ardeatine grazie ad un funzionario, che aveva «fatto scivolare» il suo nome fra quelli dei piccoli delinquenti da scarcerare. Diceva sempre che gli anni vissuti dopo di allora erano «anni in più».
Pannunzio fu un protagonista della vita politica e contribuì alla scelta del Partito liberale di provocare la crisi del governo Parri con le dimissioni, il 23 novembre 1945, dei propri ministri. Lasciata la direzione di «Risorgimento Liberale», collaborò all'«Europeo», il settimanale dell'editore Mazzocchi fondato da Arrigo Benedetti, suo concittadino e amico d'infanzia, con articoli di costume e di viaggio. Fu lo stesso Mazzocchi ad affidargli la direzione del nuovo settimanale «Il Mondo», che iniziò le pubblicazioni il 19 febbraio del 1949. Il numero zero fu preparato da Pannunzio insieme a Flaiano; il disegno della testata con fregi, come si usava sui giornali dell'Ottocento, fu ideato da Amerigo Bartoli. Già nel 1951 sorsero contrasti tra Pannunzio, che a maggio rassegnò le proprie dimissioni, e Mazzocchi, che pensava di vendere il settimanale alla De per via delle perdite crescenti e della difficoltà di ottenere contratti pubblicitari con industrie ed enti, come Agip e Ina, oggetto di attacchi da parte del giornale. Nel settembre 1956 Mazzocchi cedette la testata a una società i cui principali azionisti erano Carandini e Olivetti. Pannunzio, che aveva saputo di contatti con Manlio Lupinacci, che avrebbe dovuto essere il nuovo direttore, e la De quale possibile acquirente, tirò un sospiro di sollievo.
Alla fine del 1961, si aprì la crisi che determinò gli insanabili contrasti che portarono allo scioglimento di quel gruppo rimasto così a lungo unito. Cardini ne chiarisce bene i motivi e gli sviluppi. Lo spunto fu il cosiddetto «caso Piccardi», il presidente del Partito radicale, che nel volume di Renzo De Felice Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo era indicato tra i rela- tori di un congresso antisemita tenutosi in Germania nel 1939. Si creò un profondo contrasto tra Ernesto Rossi e Pannunzio, i due maggiori protagonisti delle battaglie del «Mondo». Pannunzio il 13 febbraio 1962 scrive a Rossi: «Per settimane e settimane, vicino a me, nella stanza accanto alla mia, sei andato costruendo una specie di macchina poliziesca contro il tuo amico e il tuo direttore». E questo lo costringe a interrompere la collaborazione di Rossi al «Mondo». Nel Consiglio nazionale del Partito radicale del marzo 1962 prevalse la componente di Villabruna, Piccardi, Rossi e Pannella e i fondatori del Pr - Pannunzio, Carandini, Caftani e Libonati - uscirono polemicamente dal partito.. Giunse così al termine il tentativo di un progetto politico di terza forza tra Dc e Pci.
L'8 marzo 1966 «Il Mondo» cessa le pubblicazioni. Ernesto Rossi, sulla «Voce repubblicana», scrive un commento commosso, mentre Pannunzio gli ricorda in una lettera i lunghi anni di amichevole collaborazione. Moriranno poco dopo: Rossi il 9 febbraio 1967, Pannunzio il 10 febbraio 1968.
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