No Vat(icanisti)

Le contraddizioni un po' relativiste di Tertulliano, e quelle della chiesa vista solo dal buco della serratura Un autorevole - forse il più autorevole - filosofo italiano vivente ripropone, in chiave giornalistica ma non frivola, un tema che gli è caro, quello dell'Essere quale unico antidoto al relativismo, gran male della contemporaneità, anzi della "modernità" (si può essere contemporanei senza sentirsi rei di "modernità"?). L'Essere è la solida base della Verità, la Verità irrefutabile che irride e sconfigge le tentazioni del Mutamento. Gran filosofare, con l'argomentazione che saltabecca da un campo all'altro con la stessa velocità di una palla da tennis al torneo (in corso) del Roland Garros. Ed è ovvio che nella faccenda il principio di non contraddizione ci faccia una gran bella figura: è l'arbitro che penalizza, equanime e incorruttibile, ora l'una ora l'altra delle affermazioni con le quali relativisti e ontologisti cercano di sopraffarsi a vicenda. Non sarò io a dirimere la querelle. Mi diverto solo a osservare i sostenitori del primato dell'Essere sempre faticosamente costretti a rintuzzare gli attacchi portatigli dal relativismo, scettico o anche solo popperiano: ma se l'Essere è così saldo sulle sue fondamenta ontologiche, come mai gli manca quanto meno l'attributo dell'evidenza?
Il cristianesimo è riuscito nell'impresa di coniugare assieme l'Essere greco e il Dio creatore della tradizione biblica: quasi un miracolo, estrinsecazione dello splendido "Credo quia absurdum" "credo perché assurdo" - di Tertulliano (di cui è stato meritoriamente ristampato, testo a fronte, l'Apologeticum"). Beh, ci crederete? Le discettazioni del filosofo sull'Essere immobile dei greci mi lasciano indifferente, l'appassionata oratoria fondamentalista di Tertulliano a me, laico, piace. Ognuno ha le sue contraddizioni. Anche un laico.
Vatican Insider è il titolo di una rubrica giornalistica online specializzata nel raccogliere e diffondere notizie relative alla vita, alle questioni e ai problemi che si svolgono in Vaticano. Siamo alle solite: frugare, adocchiare, infiltrarsi nel piccolo ma complesso mondo chiuso nelle Mura Leonine è sempre stata una attività tutta particolare, una forma di spionaggio di sapore proibito e perciò particolarmente appetitoso. Da tempi immemorabili, peraltro, il Vaticano ha cattiva fama, anche all'interno del mondo cattolico. E quando il Vaticano coincideva con Roma, l'intera città ne soffriva il riflesso: per Dante (Paradiso, XVII: è Beatrice che parla) Roma era "là dove Cristo tutto dì si merca". Una fama così negativa, colorata di simonia, fu tra le motivazioni della Riforma luterana per la quale Roma, cioè il Vaticano, era la Babilonia peccatrice del Vangelo giovanneo.
In tempi recenti, mi viene da pensare al Gide delle "Caves du Vatican" (1914), al Roger Peyrefitte de "Les clés de Saint Pierre" (1955), per non parlare del "Roma senza Papa" (1974) di Enrico Morsellí, che sembra anticipare cose che non osiamo immaginare ma che pure appaiono, in filigrana, nelle vicende attuali. Sul merito delle quali una piccola osservazione mi sento comunque di farla, da laico. Certe cose possono avvenire ovunque, non c'è carisma provvidenziale che possa evitare che le peggiori consuetudini sociali si insinuino in un ambiente nel quale, accanto alle virtù teologali, non possono non essere attivi i germi dei vizi propri e inevitabili di tutte le società umane, e con tanto maggior forza là dove sia presente la tentazione del potere. Ma una cosa la si può tenere per sicura: anche quando deplorevolmente diffusi, questi vizi hanno un solo efficace deterrente, la trasparenza.
Se non democrazia, almeno trasparenza
La trasparenza rende possibile sollevarsi quanto meno dalle conseguenze del malfatto, vale a dire colpire, se non il male morale, la colpa giuridica. Quando la trasparenza non c'è, può accadere che qualcuno, ridotto all'impotenza e alla disperazione, si riduca a gridare alla Babele che torna, alla confusione inestricabile delle forme del male: in assenza di trasparenza tutto è indecifrabile, tutto appare ineluttabile e non resta che rifugiarsi nell'invocazione/imprecazione, irragionevole se non irrazionale.
È giusto che la chiesa cattolica, nella sua intrinseca specificità storica, respinga la sollecitazione, che molti avanzano, di una evoluzione strutturale in senso democratico; è però possibile, realistico e auspicabile che i responsabili dell'istituzione - inseriti come sono nell'inquietante magma del potere - si offrano liberamente all'indagine pubblica. Esercitata non dagli "insider", termine evocativamente disdicevole, e neppure da vaticanisti esperti anche, se non soprattutto, come manipolatori - quanto piuttosto da semplici giornalisti, cronisti o inviati. Diciamo che la trasparenza è un'atmosfera, una convinzione, una fiducia che si accorda, meglio se generosamente. Oportet ut scandala eveniant: ma il primo e irreparabile scandalo è che non li si lasci scoprire, se non quando divenuti purulenti. Avendone già parlato, mi scuso riparandomi dietro un altro famoso detto: "Repetita juvant". Ma temo che, come ogni appello, anche questo resti inascoltato.
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