Niente scappatoie, Fiorito alla sbarra

Dalla Rassegna stampa

Davanti al Tribunale il 19 marzo. Finisce così per Francone da Anagni, l’ex capogruppo del Pdl alla Pisana, causa scatenante della tempesta giudiziaria e politica che ha travolto la giunta regionale. A meno che non chieda un rito alternativo o i suoi avvocati non propongano il patteggiamento, previa restituzione del denaro. Ma la procura intanto indaga ancora, sulle fatture saldate agli altri consiglieri azzurri. Il pm Alberto Pioletti ha chiesto e ottenuto il rito immediato per Franco Fiorito, il tesoriere accusato di essersi messo in tasca un milione e 400 mila. Sarà processato per peculato senza passare dal gip, insieme ai responsabili della sua segreteria, Bruno Galassi e Pier Luigi Boschi, che avevano potere di firma sul conto del partito.

Fiorito era finito in manette il 2 ottobre ed è ancora in carcere. Ieri, il gip Stefano Aprile ha respinto una nuova istanza di scarcerazione presentata dai difensori, gli avvocati Carlo Taormina ed Enrico Pavia. Sui sette depositi italiani del capogruppo e tesoriere e sui quattro conti spagnoli erano finiti i soldi del gruppo destinati all’attività politica. Oltre ai prelievi di contante. Sotto accusa 193 bonifici, un’emorragia di denaro dal conto del gruppo a quelli di Fiorito, ma poi c’erano gli acquisti: dalle borse di Gucci alla spesa nei supermercati, dai viaggi con la fidanzata, agli arredi per le abitazioni e alle mensilità degli affitti.

Il denaro

La ricostruzione del nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza è stata minuziosa, e il conto presentato dai pm, alla fine, è stato di un milione e 380 mila euro, una fetta dei 6 milioni destinati al suo gruppo consiliare. Un fiume di denaro che comincia a scorrere nell'agosto del 2011 e nella primavera del 2012 si ingrossa. È allora che Fiorito dispone bonifici di 100 mila euro in un solo giorno. Le acque nel gruppo di Forza Italia, già allora, cominciavano a incresparsi e Francone in una mattinata firma 38 mandati di pagamento. Eppure Fiorito ha sempre smentito, anche davanti alle fatture dei suoi viaggi e ai bonifici, sostenendo che quella fosse la regola: tutto era avvenuto in buonafede, perché i 4.190 euro che per legge spettano ai consiglieri regionali nel suo caso, almeno così credeva, dovevano essere triplicati. Un’indennità in quanto componente della commissione bilancio, un’altra da capogruppo e una terza da consigliere semplice.

Fiorito aveva attaccato l’intero consiglio di presidenza sostenendo che l’aumento dei fondi destinati al gruppo fosse stato promosso da tutti i partiti, poi che ci fosse un tacito accordo con gli altri del Pdl. La bufera, dal suo punto di vista, si era abbattuta quando aveva tentato di mettere ordine. La guerra era stata aperta, in primo luogo, con il suo successore, Francesco Battistoni, perché ancor prima di finire sotto inchiesta per le movimentazioni bancarie sospette segnalate alla procura da Bankitalia, Francone era finito sotto accusa nel suo gruppo, fino a essere sfiduciato e sostituito. Ed è nel quadro di questo scontro che l’ex tesoriere ha diffuso e poi presentato ai pm le fatture dei colleghi, sostenendo che potessero essere falsificate.

Fino a fare aprire un’indagine per truffa e a finire indagato a Viterbo per diffamazione e falso. Il 16 novembre ha insistito davanti al pm: «A mio avviso la documentazione di cui disponete, inerente ai contributi consiliari, non è veritiera in quanto maggiore è il quantitativo di denaro riconosciuto ai gruppi quali Idv, Radicali e la Destra. Anche gli altri gruppi consiliari hanno potuto godere dello stesso trattamento con forme diverse».

 

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