«Neutralizzato» l'articolo 1

Il «salva Sallusti» naufraga al Senato: con 123 contrari, 9 astenuti e solo 29 voti a favore Palazzo Madama, con voto segreto, ha bocciato la norma del disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa che prevedeva il carcere, fino a un anno, per i giornalisti. Nel giorno in cui al direttore del «Giornale» viene notificato l'ordine di arresto domiciliare, il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri, decide di chiedere al suo gruppo di non partecipare al voto. Sono così mancati i numeri per l'approvazione del provvedimento, sostenuto ormai ufficialmente solo dal Pdl e dalla Lega mentre a dichiararsi contrari sono stati oltre al Pd e all'Idv, anche l'Api e l'Udc mentre Radicali si sono astenuti (al Senato l'astensione vale come voto contrario). Il Pd esulta («era impresentabile, bene che sia morto») mentre il Pdl dopo aver chiesto al Pd, senza successo, di rinunciare al voto segreto parla della vittoria «del fronte del carcere». Con la caduta dell'articolo 1 di fatto decade il resto della riforma, sulla quale si è a lungo combattuto per l'urgenza dettata dalla condanna definitiva per questo reato a carico del direttore del Giornale Alessandro Sallusti. Al Senato, dove deve aver anche giocato il difficile momento che il Pdl sta affrontando, il fronte dei sostenitori del ddl ha dovuto fare i conti non solo con uno sciopero dei giornalisti rinviato all'ultimo momento dopo un appello del presidente del Senato Renato Schifani, ma anche con un comunicato congiunto del sindacato dei giornalisti e della federazione degli editori che hanno chiesto il ritiro del provvedimento. E poi, non c'era nemmeno, ormai, la certezza che il ddl potesse servire allo scopo che lo aveva ispirato rispetto a Sallusti. Gasparri lo dice chiaro: «rigetto la responsabilità di questo voto verso tutti coloro che con noi - dice hanno stretto intese per poi disattenderle, per arrivare al punto che la procura prendesse la decisione degli arresti domiciliari per Sallusti. Qualcuno ha voluto allungare i tempi per impedire una decisione legislativa». Ma Fabrizio Cicchitto più tardi prova a mediare: «recuperiamo l'accordo sulla diffamazione, elaborato e poi saltato in Parlamento, e mettiamo fine al più presto a una situazione assurda e paradossale che da troppe settimane tiene banco e che sta offrendo dell'Italia uno spettacolo non degno di un Paese democratico».
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