Nel Pd riscoppia la grana Radicali

La paura dell'antipolitica, di un'onda che travolga tutti. E in più il ritorno dell'asse Pdl-Lega, deciso a far finire la legislatura. Questi erano i timori che ieri tormentavano i vertici del Partito democratico. A cominciare dal suo segretario. Pierluigi Bersani esce due volte dall'Aula di Montecitorio. E ogni volta la faccia è più scura, più preoccupata. La prima è quando è ufficiale la bocciatura del referendum elettorale da parte della Consulta. Premesso il rispetto per ogni sentenza, ricorda che il suo partito ha contribuito a raccogliere le firme. Perciò, dice, è chiaro che ora c'è delusione. «Ma quello che è certo», scandisce, «è che non possiamo tenerci la legge che abbiamo, perché vedremmo aumentare il distacco tra cittadini e istituzioni». Ed è quel «distacco» la spina che preoccupa i democratici.
Solo due ore dopo, il voto su Nicola Cosentino aggrava quella preoccupazione. Insieme alla considerazione che i numeri consegnano la maggioranza di prima, quella precedente al governo Monti. Ieri i voti pro-Cosentino sono stati 309. L'ultima fiducia, si ricorda tra i democratici, era arrivata a quota 308. Bersani si ferma di nuovo coi cronisti. Questa volta è arrabbiato, più che deluso. «La Lega lo spiegherà. Chiedetelo a loro...», dice, prima di infilare il corridoio di sinistra e chiudersi in ufficio. La paura del segretario del Pd, e non solo sua, è che «l'uno a due» di ieri, sentenza della Corte Costituzionale e voto su Cosentino, ridia fiato all'antipolitica. A Beppe Grillo, al Popolo Viola, a Di Pietro. E che indebolisca ancora di più una classe politica già sotto scacco per la campagna anti-casta e per la scelta di delegare questa fase politica ai tecnici.
Più tardi, sui social network, da Twitter e Facebook, i timori di Bersani sono confermati. Non si fa differenze tra Pd, che pure ha votato per l'arresto di Cosentino e ha raccolto le firme per il referendum, e gli altri partiti. Ai democratici, per esempio, si contesta il voto dei Radicali, che ieri hanno votato come il Pdl, contro l'arresto del coordinatore campano del Pdl. Finiscono tutti nel gran pentolone del Palazzo, della Casta che ignora la volontà popolare di scegliere i propri eletti e, intanto, salva dalla galera i suoi. In più c'è il ritorno dell'asse Pdl-Lega o meglio la conferma che il patto tra Berlusconi e Bossi è ben saldo. E il voto anticipato torna all'orizzonte.
«Questo voto aumenterà il vento dell'anti politica. Sarà un problema per tutti. Oltretutto il Pdl ha chiesto il voto segreto...», si sfogava Dario Franceschini, uscendo dall'Aula. Preoccupato è Walter Veltroni che su Twitter critica duramente il voto su Cosentino: «È uno schiaffo ai magistrati e a tutte le forze che contrastano davvero i poteri criminali. È un fatto grave, molto grave». Mentre Walter Verini, in Transatlantico, faceva il seguente bilancio di quella che definiva una «giornataccia»: «Con le due decisioni di oggi, bocciatura del referendum e Cosentino, la politica si allontana dai cittadini».
Tutta la politica. Perché poi l'opinione pubblica non distingue. «Se non cambiamo la legge elettorale, qui ci prendono a sassate», ragionava Andrea Martella, una delle nuove leve del Pd. I più ottimisti osservano che, se non altro, ne esce rafforzato Monti. Tolta la mina del referendum, il suo governo può navigare tranquillo fino al 2013. Ma il fatto che sia Berlusconi, in privato, sia Bossi, in pubblico, siano tornati a parlare di elezioni, non è un buon viatico. «Abbiamo scoperto che Maroni è un bluff e che Monti dovrà fare i conti con Berlusconi», commentava Alessandro Maran, con lieve allusione polemica a chi, nel Pd, ha puntato tanto sull'ex ministro. «Di Pietro e Vendola oggi escono rafforzati», è l'altra considerazione che si fa. E proprio nel momento in cui il Pd, scegliendo di sostenere il governo Monti, cominciava a prendere le distanze dall'ex pm, accentuando il proprio profilo riformista. Davvero una giornataccia.
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