Nei lager Cie, ma solo per 90 giorni

Dalla Rassegna stampa

C’è una piccola speranza per alleggerire il peso della detenzione nei Centri di identificazione ed espulsione. Il Senato ha infatti dato il via libera al un emendamento alla legge europea a firma di Luigi Manconi e Sergio Lo Giudice per accorciare i tempi di permanenza degli stranieri in queste strutture, fissando il tetto massimo a 90 giorni. Una drastica riduzione, se si considera che attualmente è possibile restare richiusi tra le mura di un Cie fino a 18 mesi. Il provvedimento va anche incontro a uno dei sei referendum presentati dai Radicali nel 2013 - poi bocciati a causa del mancato raggiungimento delle firme necessarie - il quale poneva il tema della riduzione dell’intrattenimento e l’abolizione di quelle norme che incidono sulla clandestinizzazione e precarizzazione dei migranti. La riduzione a 90 giorni della permanenza nei Cie dovrà passare anche al vaglio della Camera dei deputati. L’estensione dei termini a 18 mesi era stata voluta fortemente nel 2011 Roberto Maroni, all’epoca ministro dell’Interno, del governo Berlusconi. Era l’ennesimo periodo emergenzialista e securitario, e l’effetto è stato disastroso perché ha creato enormi tensioni all’interno dei Cie. Tensioni che portano a delle vere e proprie rivolte. L’ultima il 4 settembre scorso al Cie di Ponte Galeria, alle porte della Capitale. Alcuni dei migranti presenti hanno dato fuoco a materassi sprigionando del fumo e gli agenti antisommossa sono intervenuti per sedare la rivolta. Il motivo della protesta è il lungo periodo di permanenza cui sarebbero costretti i migranti e dalle condizioni disagevoli del centro.

Già nei giorni antecedenti ai fatti, il Garante per i detenuti del Lazio Angiolo Marroni aveva denunciato la situazione di estrema tensione nel centro, dove un irregolare recluso era in sciopero della fame e parziale sciopero della sete da due settimane. Si tratta di un cittadino di origine nigeriana, trattenuto al Centro di identificazione dallo scorso 13 giugno, che avrebbe già perso 14 kg. L’uomo, D. M., ha una moglie e due figli minori regolarmente residenti in Francia, ed ha avviato la sua protesta perché intende ricongiungersi con la propria famiglia. Ma cosa sono i Cie? Per molte associazioni e movimenti sensibili al tema dell’immigrazione, sono considerati dei veri e proprio lager. L’organizzazione indipendente e umanitaria "Medici per i diritti umani" ha condotto, nel 2013, un importante indagine entrando in tutti i centri di espulsione e ha stilato un dossier dettagliato. La ricerca si chiama "Arcipelago Cie. Indagine sui centri di identificazione ed espulsione", pubblicata da Infinito Edizioni e realizzata con il supporto di Open society foundation. L’indagine si è svolta nell’arco di un anno, da febbraio 2012 a febbraio 2013, e si è articolata in quattordici visite agli undici Cie operativi sul territorio italiano. Altri due centri, quello di Brindisi e il Serraino Vulpitta di Trapani, non sono stati visitati perché chiusi per ristrutturazione.

A quindici anni dalla loro istituzione, prima come Cpt e poi trasformati in Cie, queste strutture vengono bocciate su tutta la linea. L’opacità che circonda queste strutture si manifesta nelle molte restrizioni all’accesso e nel fatto grave che, scrivono gli autori, «nel corso dell’intera indagine non è stato inoltre possibile conoscere dalle Prefetture i costi complessivi dei singoli Cie». Dal punto di vista della struttura, i migranti sono ristretti in recinti simili a grandi gabbie, con spazi di dimensioni inadeguate ed eccessivamente oppressivi. In alcuni centri i migranti sono confinati in differenti settori permanentemente isolati tra di loro. Questo, sempre secondo i medici per i diritti umani «ha reso le condizioni di reclusione ancora più umilianti e afflittive». La conclusione della ricerca sul campo è che tali strutture sono «del tutto inadeguate a garantire condizioni di permanenza dignitose ai migranti trattenuti». Dormitori, mense, servizi igienici, sale ricreative, niente di quello che c’è in un Cie rispetta gli standard minimi di qualità, o come affermano gli autori del rapporto, «apparivano in uno stato di manutenzione inadeguato e in condizioni di pulizia spesso insufficienti». Particolarmente grave la situazione dei settori maschili di Roma e Bologna, dove «i blocchi alloggiativi si presentavano in condizioni del tutto fatiscenti e, nel caso di Bologna, erano addirittura assenti i requisiti minimi di vivibilità».

Inoltre gli autori del dossier hanno rilevato l’assenza del servizio sanitario nazionale all’interno dei centri e gli ostacoli rilevanti nell’accesso alle cure specialistiche e agli approfondimenti diagnostici. Il dossier conclude chiedendo la chiusura di tutti i Cie presenti in Italia in ragione della loro palese inadeguatezza strutturale e funzionale, ridurre a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, il trattamento dello straniero ai fini del suo rimpatrio e il rispetto della normativa europea che obbliga il nostro Paese ad utilizzare il metodo di coercizione come estrema ratio ai fini del suo rimpatrio. I Cie sono istituzioni totali, adibiti a carceri di passaggio dove agli immigrati sono sospesi tutti i diritti fondamentali. Il provvedimento di Manconi, se diventerà legge, sarà comunque un bel passo in avanti.

 

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