Neanche B. riporterà i radicali in parlamento

«Un patto segreto tra Pannella e B.»: così sintetizzava il Fatto quotidiano una ben poco persuasiva intervista all'ex segretario radicale Giovanni Negri, proteso a sostenere che i fallimentari buchi segnati dalle liste Amnistia giustizia libertà sarebbero frutto di un “nuovo patto con Berlusconi”. Ritornando a un'intesa stipulata nel 1996 tra il Cav e Pannella, Negri fa capire che il guru radicale avrebbe determinato volontariamente le assenze delle liste, col segreto fine di favorire Berlusconi. L'intervistatore, Fabrizio d'Esposito, dopo aver ricordato le nuove attività dell'ex uomo politico Negri, impegnato a produrre vino nelle Langhe e a scrivere romanzi gialli, annota ironicamente: «I gialli le hanno dato alla testa».
Non si capisce, in effetti, in qual maniera Pannella avrebbe potuto determinare il tracollo nella presentazione delle liste radicali. Ancor meno si potrebbe comprendere come riuscirebbe a far votare Pdl gli elettori radicali privi del simbolo preferito sulla scheda: forse con un passaparola, per di più tenuto nascosto agli svariati compagni orientati a sinistra?
La verità è più semplice e consiste nell'indebolimento dei radicali. Saranno assenti dalla competizione quasi nell'intero nord e in altre circoscrizioni. Non parteciperanno alla competizione nelle regionali lombarde e molisane; in quelle laziali, lasciando stare l'errore commesso nella presentazione del listino (ItaliaOggi ne ha trattato ieri), hanno bucato una provincia. Anche in passato c'erano stati problemi nella raccolta delle firme, con conseguenze a volte letali, come nel '94, quando l'assenza del simbolo della lista Pannella in varie circoscrizioni fermò il movimento al 3,5% nella quota proporzionale, sotto dunque la soglia del 4% per partecipazione alla divisione dei seggi. Stavolta, però, troppo estese sono le assenze per pensare a qualche insufficienza periferica. Si tratta di un caso che Negri qualifica di “inettitudine politica”, riscontrando invece la copertura totale operata dalle liste di Oscar Giannino.
Appunto: i radicali sono in affanno. I loro militanti sono numericamente ridotti: poco più di un migliaio di aderenti in tutt'Italia, con scarsissimi rinnovi. Basta scorrere le liste, sia quelle presentate sia quelle non depositate per insufficienze di sottoscrizioni: sono i soliti nomi che si ripetono ovunque, alla Camera, al Senato, nelle regioni. Si tratta di dirigenti-attivisti-iscritti, posto che ormai i ruoli finiscono con l'identificarsi.
Che non ci siano novità fra i candidati si è visto dall'appello lanciato da Pannella per trovare appoggio alla lista Amnistia giustizia libertà. L'unico nome di rilievo arrivato è quello di Giorgio Albertazzi, non nuovo, del resto, a candidature radicali. In passato le liste pannelliane si erano fregiate di personaggi noti, da Domenico Modugno a Cochi Ponzoni, da Gianni Brera a Bruno Zevi, da Tinto Brass a Fernanda Pivano, da Gianni Vattimo a Piero Craveri (senatore per pochi giorni, con annesso vitalizio), da Vincino a Leonardo Sciascia a Maurizio Costanzo, tanto per scegliere qualche nome a caso fra i tanti, ma proprio tanti. Oggi, sono in lizza i soliti militanti.
I radicali incolperanno del collasso nella presentazione delle proprie liste il «caso Italia», il soffocamento mediatico della propria attività, l'isolamento in cui sono o sarebbero tenuti, le difficoltà pratiche incontrabili, fra le quali l'assenza di propri consiglieri provinciali e regionali autenticatori di sottoscrizioni. Tuttavia un buco di queste dimensioni non ha precedenti: indica che i pannelliani sono sguarniti e ridotti a una trincea di fedelissimi, non in grado di attrarre nuove forze.
Lo stupore col quale Massimo Bordin, nella sua ultima conversazione con Marco Pannella a Radioradicale, ha rilevato l'assenza di candidati radicali in zone ritenute tra le più produttive di voti per il proprio movimento, indica la preoccupazione che serpeggia fra gli stessi esponenti.
Li aspettano un'intera legislatura senza deputati, senza senatori, senza consiglieri regionali; e sono fuori dell'Europarlamento. Mai si era presentato, per loro, un simile vuoto nelle istituzioni, dopo l'ingresso della prima pattuglia di quattro deputati a Montecitorio nel lontano 1976.
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