Meno soldi ai partiti, primo sì dal Senato

Dalla Rassegna stampa

Il Senato dà il via libera al decreto legge sul nuovo finanziamento pubblico ai partiti e lo trasmette alla Camera per l’approvazione definitiva che deve arrivare entro il 26 febbraio. Hanno votato sì 171 senatori e no 55. Una larga maggioranza- sono rimasti fuori i grillini, quelli di Sinistra, ecologia e libertà e gli iscritti al gruppo di Gal - che però nasconde al suo interno distinguo, sottigliezze e malumori. Infatti, molto si è discusso sui soldi che potrebbero arrivare da enti pubblici e società partecipate. Scelta Civica, per esempio, era nettamente contraria e ha voluto che si votassero i suoi emendamenti contrari. Respinti. I mondani non hanno gradito neanche l’approvazione della norma -proposta da Ugo Sposetti del Pd- che estende la cassa integrazione ai dipendenti dei partiti. Altro argomento di vivace contrapposizione il pagamento dell’Imu sugli immobili dei partiti. La norma c’è. Ma avversari storici del finanziamento pubblico come i radicali, fuori dal Parlamento, fanno notare che questi fabbricati sono orami conferiti alle fondazioni che non pagano l’Imu. I senatori del Nuovo centrodestra, invece, hanno fatto una battaglia per fare entrare subito in vigore le nuove norme, senza attendere il 2017. Hanno perso e ora confidano nell’esame della Camera.

Dubbi parziali che non sfiorano i "duri e puri" del Movimento Cinque Stelle, da sempre contrari a qualsiasi forma di finanziamento. Un atteggiamento sfociato nella rituale protesta all’annuncio del risultato del voto, con i commessi impegnati a requisire i cartelli di protesta fioriti sui banchi dei grillini. Un no spiegato e rispiegato in aula, ma che sintetizza bene l’ex capogruppo Paola Taverna su Facebook: «Che palle! Sì, un semplice sfogo. Sentire parlare questi incompetenti, che rincorrono i rintocchi del governo Letta che scade, per conservare l’unica cosa che gli interessa e cioè loro stessi e i loro soldi, mi fa venire il voltastomaco». I senatori di Sel hanno invece votato contro l’impianto generale - eliminazione del regime attuale entro i12017 e introduzione graduale del 2 per mille delle imposte, finanziamento privato fino a 100 mila euro - perché «la legge agevola e sostiene il peso delle lobbies economiche e delle grandi società, mentre punisce e scoraggia la partecipazione dei cittadini alla politica». Un dubbio che sollevano anche i socialisti con Enrico Buemi: «Il finanziamento privato potrebbe rappresentare un forte condizionamento per l’esercizio democratico delle forze politiche», dice il senatore socialista.

Grillini e vendoliani hanno comunque finito per litigare anche in una circostanza che li vede uniti in una battaglia. Causa del dissidio un emendamento di Sel che voleva fissare un tetto di 30 mila euro per la pubblicità sui siti web politici. Iniziativa che non è piaciuta a quelli del Movimento che hanno votato contro. Dando modo a quelli di Sel di porre domande maliziose: «Non comprendiamo perché il M5S si sia sentito colpito direttamente, come se il nostro emendamento volesse danneggiare qualcuno invece che garantire trasparenza e autonomia della politica».

 

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