Matrimoni gay, è scontro in Europa

Dalla Rassegna stampa

Con un paese provato dalla situazione economica e dalla recessione, mentre fondamentali discussioni dividono l’opinione pubblica, dalle infrastrutture, alla riforma del welfare, dal Sistema sanitario nazionale, all’Europa, i Tory si dilaniano al loro interno su una questione puramente ideologica e formale: il matrimonio gay.
Dopo che il sesso omosessuale è stato riconosciuto legale nel 1967, e che le civil partnership sono state introdotte nel 2004, riconoscendo pari diritti alle coppie gay, quest’ultimo passaggio sembrava davvero una cosa di poco conto, ma sta scatenando invece durissime reazioni di tipo ideologico e viscerale, con argomenti spesso al limite del paradosso: c’è chi paventa orde di padri e figli che si sposeranno per evitare la tassa sull’eredità, chi (il sindaco di Londra, tanto per capirci!) si dice terrorizzato dalla possibilità di introdurre in futuro matrimoni tra uomini e animali e chi, infine, sfodera statistiche sulla propensione alla violenza dei figli allevati in coppie dello stesso sesso.
Si tratta comunque di una promessa che Cameron è determinato a portare avanti (grazie anche ai voti del Labour e dei Lib-Dems, come mostrato ieri sera nel voto ai Commons, con la legge passata in prima lettura con una maggioranza di 225 parlamentari) ma che anziché mostrare la nuova faccia di un partito al passo coi tempi, rischia di mettere in luce la vera natura bigotta ed omofobica di quel partito.
La situazione rischia di indebolire definitivamente la leadership di Cameron, che i dipendenti del partito conservatore hanno spedito una lettera a Downing Street pregando di rinviare il voto su una questione che potrebbe dimostrarsi fatale per l’unità stessa del partito. La maggioranza dei ministri invece si è schierata al fianco di Cameron e difende la scelta.
Per quanto la legge preveda tutte le forme di tutela per le organizzazioni religiose che non volessero praticare questa forma di matrimonio, la reazione che viene dalle fila del partito conservatore mostra una tendenza a tutelare un’istituzione millenaria e a difendere i valori tradizionali della patria e della famiglia.
La divisione è completamente trasversale al partito, con parlamentari di zone rurali e londoners, vecchi conservatori da decenni in parlamento e young Tories eletti per la prima volta nel 2010, ugualmente schierati in difesa o contro la legge. E non si spiega neppure con la paura di perdere le prossime elezioni: su una lista di quindici argomenti su cui si baserà il voto nel 2015, il matrimonio gay sta al dodicesimo posto, e secondo un sondaggio solo il 7 per cento della popolazione (ugualmente diviso tra quelli che appoggiano o oppongono la legge) lo considera un argomento per cui poter cambiare il proprio voto.
Eppure Cameron ha deciso di giocarsi la faccia fino in fondo, sfidando le ire di chi lo accusa di essere succube dei Lib-Dems e di chi dice invece che è un perdente, incapace di garantire la maggioranza al partito alle ultime elezioni.
Cameron sfida il suo partito perché questa doveva essere la sua “Clause Four”, il momento in cui il leader dimostrava al paese la vera volontà riformatrice del partito, ma rischia invece di trasformarsi in una débâcle totale, con una possibile sfida per la leadership e addirittura una frattura del partito stesso.

 

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