Marco Pannella, una vita da guerriero

Il signor Hood ha ancora il suo "canestro di parole" e continua "anche quando piove" a stare "sempre con le spalle al sole". Che sia leggenda o meno, il bandito gentile (che lo sia, "negare non si può") cantato da Francesco De Gregori nel 1975 non può che essere ascoltato ormai che pensando a Giacinto Pannella, detto Marco, 82 primavere alle spalle spesso vissute sul filo sottile che divide la preveggenza dall’ottusità. Abruzzese di madre svizzera, laureato in giurisprudenza, operaio in una fabbrica di scarpe in Belgio, corrispondente de II Giorno da Parigi, leader dell’associazione degli studenti universitari, giovanissimo fondatore (siamo al 1955) del Partito radicale - costola sbarazzina del partito liberale - insieme a gente del calibro di Leo Valiani, Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi, poi unico in grado di farsi erede di quella tradizione di borghesia illuminata e laica, ma virata nel seppia di quello che diventerà il suo partito, il meno personale e il più carismatico nella storia della Repubblica.
Una biografia completa di Pannella non esiste perché scriverla non è possibile: troppi gli aneddoti, troppe le frequentazioni, troppe le sigarette e gli amori, troppi i referendum e troppi e troppo lunghi i discorsi, troppe le interviste e le foto, troppe le iniziative memorabili e quelle dimenticabili, troppa la capacità di piegare il dibattito pubblico alla violenza delle sue passioni e delle sue intuizioni. Per limitarsi ad un racconto, nell’Ugi (Unione goliardica italiana, l’associazione degli universitari) - in cui fece il bello e il cattivo tempo insieme ad un altro grande cattivo, Lino Jannuzzi - tenne a battesimo un bel pezzo di classe dirigente della prima Repubblica: pure Occhetto a Craxi, per dire, passarono sotto di lui e l’ultimo lo fece addirittura rimuovere anche grazie, vuole la leggenda, ad un provvidenziale schiaffone ad un giovane Giusi La Ganga - dalla presidenza dell’Ugi nel 1959, l’anno in cui propose su Paese Sera l’alleanza delle sinistre (dai Repubblicani al Pci su un programma socialdemocratico) contro «il regime democristiano». Una frescaccia? Probabile, ma gli rispose Palmiro Togliatti in persona.
Tra allora e oggi quasi tutti sanno cosa sia stato Giacinto "Marco" Pannella: andando un po’ a casaccio, il divorzio e l’aborto, la non violenza e l’antimilitarismo, le campagne contro la fame nel mondo negli anni Ottanta e contro la pena di morte nei decenni successivi, la nascita del movimento ambientalista e di quello anti-proibizionista, la battaglia per Israele nell’Unione europea e per l’esilio di Saddam Hussein e, sempre, quella per un sistema carcerario dignitoso. Con la prigione siamo ad oggi, alla nuova prova che Pannella impone al suo corpo anziano: uno sciopero della fame e della sete che dura da oltre una settimana per riproporre un provvedimento di clemenza, un’amnistia che non riuscirà ad ottenere da questo Parlamento e che pure chiede nonostante i non pochi rischi che fa correre alla sua salute.
«L’obiettivo - ha spiegato lui stesso - è sempre quello: ottenere che lo Stato italiano interrompa la flagranza tecnicamente criminale in termini di diritto internazionale e della "ex" Costituzione italiana. Mentre continuano ad arrivare conferme dalla giurisdizione europea, abbiamo fornito lo strumento perché questo possa accadere formalmente in dieci giorni. Come episodio enorme, storico, dopo 30 anni di tradimento ed illegalità». Amnistia, dunque, e effettiva praticabilità del diritto di voto per quei detenuti che non hanno perso i diritti politici. Questo è il programma, lo stesso - sottolineano un po’ maligni i radicali - che sotto lo slogan "Amnistia, Giustizia e Libertà"spinse prima nel Natale 2005 e noi a Pasqua del 2012 migliaia di cittadini a scendere in piazza e tra loro, nel comitato promotore, Giorgio Napolitano, Francesco Cossiga, Rita Levi Montalcini, don Antonio Mazzi, Giulio Andreotti, Emilio Colombo, Sergio Pininfarina, Giliano Vassalli, Emilio Colombo e Antonio Baldassarri. Quirinale e senatori a vita, sembrano dire, che ora sul tema stanno facendo pochino, se è lecito piegare a questi fini l’espressione che il prigioniero Aldo Moro usò per il Papa. «Le carceri sono solo l’appendice di una giustizia che non funziona. Abbiamo un macigno ma sembra non interessare nessuno - s’accora Rita Bernardini, la radicale che più di ogni altro ha lavorato sul tema delle carceri negli ultimi anni -. Finora le telefonate arrivano, tutti gli dicono di riprendere a mangiare e bere, ma non danno una risposta a quello che lui chiede». Ma cosa chiede Marco Pannella? L’amnistia, vero, che non otterrà: non la otterrebbe in condizioni normali, figuriamoci in campagna elettorale. Forse Mario Monti, che ieri è andato a trovarlo in ospedale, qualcosa potrà fare per il diritto di voto dei detenuti, ma niente di più: anche il ddl sulle pene alternative che comunque, nella sua forma attuale, riguarderebbe poche decine di persone - non ha alcuna speranza di diventare legge entro la fine della legislatura. Ieri lo ha ribadito, con un certo compiacimento a leggere le sue parole in agenzia, il presidente della commissione Giustizia del Senato, l’ex An Filippo Berselli. E allora, cosa cerca il vecchio Giacinto? Ecco, e viene scritto con vera ammirazione per chi è capace di riassumere nel proprio corpo la complessità delle cose, non bisogna mai dimenticare il signor Hood: «Che fosse un bandito, negare non si può». Marco Pannella si spende per le condizioni di vita nelle carceri e il rispetto della legalità, ma non cessa mai di pensare allo strumento che gli consente di fare questo: il Partito Radicale, la sua presenza nelle istituzioni e nella società.
«I nostri sono gli stessi motivi di fondo - ha spiegato Pannella - che nel 1976 indussero un elenco del illustre, senza precedenti, ad aderire all’appello che riuscimmo a pubblicare a pagamento sulle pagine de La Repubblica che, provocando alcune tribune politiche di riparazione prima del voto, permise agli italiani di giudicare per la prima volta le nostre ragioni e battaglie». Ora «vedremo se arriveranno nomi vitali come nel 1976, perché quelli urgono: servono personalità che dicano sono pronto ad essere candidato».
Nomi ne sono arrivati quasi nessuno e comunque non certo di peso, ma almeno un risultato Pannella l’ha ottenuto per la sua Rosa nel pugno 2.0: riportare in campo Emma Bonino, che circa una settimana fa aveva dato l’idea - intervistata su Radio radicale - di volersi tirare fuori dalla bagarre, mentre lunedì lanciava l’appello per le candidature sulla scia di quello del leader. Quello di Pannella, è una precisazione necessaria, non è cinismo: può apparire poco piacevole mischiare il sacro delle battaglie ideali col profano del posizionamento politico, eppure non lo è affatto. Non perché la politica è sangue e merda, come vuole la vulgata, perché nel caso di Giacinto Marco è sangue, merda e tutto il resto: corpo, spirito e partito, tutti a rischio, tutti in resistenza (quasi) passiva sul filo della sopravvivenza.
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