Marco Pannella difese le ultime isole liberali in Italia

Già deputato comunista, poi deputato radicale, cattolico, ex politico ormai da decenni, Alessandro Tessari ha scritto un libro su Marco Pannella (Raccontando Pannella... a ruota libera, Mimesis, pp. 134, euro 14,00) in cui parla più di se stesso che del leader radicale (e quando ne parla, è raramente per dargli ragione). Eppure, benché il soggetto reale di questo libro di memorie degli anni Settanta e Ottanta sia di gran lunga meno interessante del suo soggetto presunto, è non di meno un utile rendiconto, o quanto più utile possibile, della stagione più buia della repubblica: gli anni del piombo e dell'ideologia; e del solo lato luminoso di quella stagione: l'avventura radicale. Concorsero alle nefaste vicende degli anni Settanta, un'epoca che i meno giovani ricordano (ahinoi) fin troppo bene, non soltanto le ali estreme della politica: i veterostalinisti con la pistola nel tascapane, í neomussoliniani con la bisaccia piena di dinamite, tritolo e canzonacce da caserma. A fare degli anni Settanta un incubo furono soprattutto le spericolate manovre tattiche dei due partiti salvifici di massa: la democrazia cristiana, che voleva salvare l'Italia dal comunismo annettendoselo, e il partito comunista, che era comunista (e che dunque detestava con tutta l'anima i democristiani come questi detestavano di cuore aborto e divorzio) ma che, togliattianamente, era sempre disposto a ogni sorta di compromesso. Intorno ai due partiti salvifici, orbitavano i cosiddetti partiti minori, dal partito socialista al partito repubblicano, dal partito liberale al partito socialdemocratico, alcuni soltanto invidiosi dei partiti maggiori, altri invidiosi e scodinzolanti. Ebbene, fuori da questo cerchio magico, oltre il sistema dei partiti, irriducibilmente estraneo alle combinazioni parlamentari del consociativismo, per non parlare dei compromessi storici, c'era il partito radicale, e al centro esatto del partito radicale c'era lui, Marco Giacinto Pannella.
Era Pannella, con le sue interminabili concioni, i suoi comizi sterminati, le sue incessanti richieste di nuovi iscritti e di denaro, Pannella digiuno e imbavagliato, Pannella implorante, Pannella persuasivo, Pannella rabbioso, a impedire che anche le ultime isole superstiti di passione e di resistenza liberale venissero recuperate dal sistema (sarà il partito di plastica berlusconiano, tre o quattro stagioni politiche più tardi, a liquidare una volta per tutte ogni traccia residua di cultura liberale in Italia). Era un mestiere da incantatore di serpenti, da Mago di Thomas Mann, da imbonitore, da attore girovago. Ma qualcuno doevva pur farlo, e toccò a Pannella (vanesio, gigione, decisamente imperfetto) incaricarsene. Nessun altro sarebbe stato all'altezza. Nella sua ombra si muovevano gli altri radicali, a nessuno dei quali (tranne casi eccezionali, anzi un solo caso eccezionale, Emma Bonino) era concesso brillare di luce propria. Anche in questo, con largo anticipo sull'antipolítica, che del pannellismo sarà nel migliore dei casi la parodia, il partito radicale fu una forza antisistema: non si concesse il lusso d'una nomenklatura (gli bastava un testimoniai, sappiamo chi).
Col tempo e gli acciacchi, anche lo charme del vecchio trombone, com'è inevitabile, ha finito per appannarsi. Alessandro Tessari, nelle sue memorie, conserva come un insetto nell'ambra il ricordo della stagione politica che i radicali (come diceva Bettino Craxi) tentarono d'«impannellare»: deputati comunisti ribelli, i clericali fanfaniani all'assalto della repubblica, campagne di «politica immaginifica» che cambiano il volto del paese, scioperi della fame, il caso Moro, il caso Cirillo, i fatti del 1977, e poi la scuola marxleninista di partito, manifestazioni di piazza e siano sfondo sempre lui, Pannella, il campione di tutte le possibili battaglie in tutte le sue possibili identità.
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