Marco, padre visionario della terza Repubblica

Mentre nel paese, da tempo, si invoca il cambiamento della politica a suon di rottamazioni e con spirito da giovanilismo anagrafico, un solo uomo politico dimostra di essere precursore del nuovo, narratore dei tempi futuri. È Marco Pannella, inascoltato promotore di una battaglia più che trentennale contro la partitocrazia. La galassia radicale è l'esempio più compiuto, in Italia, della filosofia dei movimenti, forma politica in grado di cogliere il clima attuale e di prefigurare una rinnovata e più fertile modalità di partecipazione. Dalle critiche al '68 fino alle accuse a Berlusconi, definito uno scolaro zelante dei suoi predecessori e della partitocrazia, la battaglia pannelliana è da sempre orientata a «rappresentare una speranza: l'alternativa radicale possibile di una democrazia fondata sulla libertà di associazione e partecipazione, sulla libertà di informazione e conoscenza, sulla libertà della persona. Soprattutto sul rispetto del diritto e della legge, come fonte suprema di legittimità delle istituzioni».
Eppure del leader radicale è stata poche volte sottolineata la lungimiranza e più spesso, invece, sono stati raccontati, con spirito malizioso, gli umori altalenanti, i vezzi più stravaganti, il lessico complesso. Pannella più che un precursore della nuova prossima Repubblica, è stato descritto come un uomo votato all'utopia, un provocatore, direbbero i detrattori. Forse i più non hanno colto la vera provocazione di Pannella, sincera, sentita, una visione che in molti non hanno capito perché ancorati all'appartenenza, alla poltrona, al proprio misero ruolo: «Io non credo nelle ideologie, non credevo nelle ideologie codificate e affidate ai volumi rilegati e alle biblioteche e agli archivi. - sostiene durante un'intervista a Play Boy nel 1975 - Non credo nelle ideologie chiuse, da scartare e usare come un pacco che si ritira nell'ufficio postale. L'ideologia te la fai tu, con quello che ti capita, anche a caso. Io posso essermela fatta anche sul catechismo che mi facevano imparare a scuola, e che per forza di cose poneva dei problemi, per forza di cose io ero portato a contestare». Ecco: chi non vuole riconoscere a Pannella la lungimiranza di aver precorso ogni tema oggi sul tavolo delle questioni lo fa a causa di un timore insopportabile. L'assenza dell'ideologia spaventa chi fa politica per interesse, proprio e del proprio partito, e non per passione. La battaglia di Pannella alle appartenenze, oggi rivendicata da più parti come originale, quasi ribelle, legata al clima culturale della post-modernità, ha origine proprio nel periodo in cui essere contro le famiglie politiche era un peccato di imperdonabile anticonformismo: nelle rivoluzioni giovanili, durante le quali chi ha maturato il proprio profilo politico è divenuto, nel tempo, il più grande promotore della fede partitocratica. Rinnegando se stesso e dando, di nuovo, ragione alla lungimiranza di Pannella. «Il 1968 ha coinciso con il nostro massimo isolamento.
Quando la borghesia italiana strizzava l'occhio a Potere operaio perché i suoi figli stavano lì dentro, noi polemizzavamo con Potop perché i loro cortei servivano solo a far rincasare con due ore di ritardo gli operai edili romani stanchi morti dal lavoro, che prendevano l'autobus 64 per tornare al Tiburtino o a Pietralata». Ecco il punto di vista del leader radicale raccontato nel 1983 a Ernesto Galli Della Loggia e Fiamma Nirenstein. «Io - continua - non ho mai avuto il gergo sociologico del sinistrese. Se la fantasia va al potere, vada a fare in culo anche la fantasia».
Eppure Pannella, che se non è libertaria manda a quel paese pure la fantasia, è stato tacciato spesso di mancata concretezza, di una certa fumosità. Ma l'unica che gli si può attribuire è quella legata al consumo di sigarette: «Ho un'autostrada di nicotina e catrame dentro - ammette - sulla quale viaggia veloce quanto di autodistruzione, di evasione e di piacere solitario la mia morte esige e ottiene». Il profilo personale del radicale, e quel po' di sogno che l'accompagna, è magistralmente sintetizzato in un articolo del 1973: «Uomo-bambino scaltro e innocente, Pannella è realista e sognatore, mezzo Gandhi e mezzo Savonarola, un David che ha sfidato Golia senza disporre neppure di una fionda. È un leader privo di quei tratti sadico autoritari che si ritrovano in ogni leader. Vive in una soffitta di via della Panetteria, in cui l'acqua piovana ha libero accesso. La sua parola è calda e intensa, sempre ancorata alla realtà quotidiana». Così Costanzo Costantini lo descrive sulle pagine de Il Messaggero. Lo stesso giornale in cui il leader radicale con un'intervista al vetriolo accusa le camere dello scadimento del proprio ruolo: «La maggior parte dei parlamentari italiani vengono chiamati in aula soltanto per alzare la mano. Hanno un solo dovere: essere muti. Perché? Non si chiama Parlamento?». «Ma ormai - continua Pannella - in Parlamento si trascrivono ordini presi in extremis dai partiti. Da qui leggi precarie, fragili, pessime, impraticabili, che poi si devono rifare». Ecco l'origine della debolezza della nostra democrazia, ecco le ragioni dell'inefficacia del sistema: la partitocrazia. Il j'accuse potrebbe essere ripubblicato, tale e quale, oggi, nelle colonne degli editorialisti meno impacciati, perché la viscerale critica coglie una delle peggiori conseguenze dell'attuale legge elettorale: scardina il legame tra eletto e cittadino e trasforma il parlamentare in un uomo d'anticamera.
Il luogo in cui si mette in coda per ricevere la grazia di una candidatura tutta decisa all'interno delle burocrazie. L'intervista rilasciata da Pannella non è recente, ha addirittura gli anni di Cristo e risale al 1978, quando, durante il sequestro Moro si raggiunge il culmine della protesta contro l'esproprio del Parlamento da parte dei partiti. Massimo Suttora in I segreti di un istrione, descrive la verve quasi angosciosa che ha animato in quei giorni Pannella. «Avevano bisogno di Moro morto», accusa. «Il regime della menzogna inganna il Paese».
Anche da un punto di vista lessicale e comunicativo i Radicali hanno anticipato i tempi sostituendo l'azione al comizio e al bagno di folla: sono stati i precursori del flash-mob, pratica ora diffusa nelle manifestazioni politiche e legata, in origine, al web. Durante la tribuna del referendum del 1978, infatti, Pannella, Bonino, Mellini e Spadaccia si presentarono in tv imbavagliati e con cartelli di protesta. Decenni prima di Repubblica, nell'epoca catodica, avevano già messo in scena la polemica anti-bavaglio, senza ricorrere alla parola ma creando un'esperienza. Lo spettacolo, perché così fu percepito, era contro ogni sceneggiatura televisiva, il più lungo silenzio mai trasmesso, 24 eterni minuti. Sabino Acquaviva commentò cogliendo il pregio dell'azione radicale: «Pannella - disse - ha sovvertito i rituali della classe politica».
Appunto: della classe politica, non della politica, per la quale Pannella prova, invece, sincero amore. La sua battaglia contro la partitocrazia, infatti, non deve essere tradotta nella semplice vulgata anti-politica, perché, senza buonismi, ama la politica per davvero, in modo sincero. Scrive, infatti, nella prefazione di Underground: a pugno chiuso, di Andrea Valcarenghi: «Io amo gli obiettori, i fuorilegge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche come la donna e l'uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica.[...] Credo ai racconti che ci si fa in cucina, a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuole essere onesti ed essere davvero capiti, più che ai saggi o alle invettive».
Il mondo descritto da Pannella è senza fratture sociali, un mix straordinario di alto e basso, borghese e rivoluzionario, è un flusso continuo allo stesso modo in cui i sociologi contemporanei, primo tra tutti Bauman, descrivono le comunità odierne.
In questa realtà, che senso possono avere le gerarchie di partito, le burocrazie? Il passaggio al movimento è già dentro la logica referendaria dei radicali i quali hanno dimostrato come le persone spesso siano da un'altra parte rispetto alle nomenclature della classe dirigente, esonerate, quindi, della propria capacità di rappresentanza. È accaduto, per esempio, proprio con il referendum sul finanziamento statale ai partiti contro il quale si erano espressi, all'epoca, solo Pr, Dp, Pli e Msi: il 44% degli italiani disse sì all'abrogazione del sostegno pubblico. Gli elettori avevano disobbedito alle indicazioni dei partiti di cui, magari, avevano la tessera in tasca.
Pur se precursore dei tempi e lucido visionario, Marco Pannella è però spesso accusato, anche e forse di più da chi gli è vicino, di contraddire con la prassi della propria leadership gli ideali di assoluta libertà e rottura che promuove. È esemplare ciò che scrive Massimo Teodori, su Il Foglio: «Verrebbe voglia di osservare che il peggiore nemico di Pannella è Pannella medesimo». Oppure sono indicative le parole di Remo Appignanesi del Movimento dei Club Pannella, pronunciate quando già il partito aveva scelto di occuparsi d'attività politico-culturali lasciando il campo della competizione elettorale prima alla Lista Pannella, poi a quella Bonino e infine ai Radicali Italiani: «Non dimentichiamo di essere radicali innanzitutto in casa nostra». Un monito, rivolto al leader, che può essere ribaltato come un invito ai giovani radicali per non diventare come le giovanili di partito, luoghi di cooptazione e fucina di giovani vecchi dentro. Per continuare la battaglia contro le prassi di partito e contro le burocrazie non cedete alla semplificazione di chiederla, la libertà. Prendetevela. Precorrete i tempi, inventatevi, come sapete fare, cose nuove. Dimostrando così lucidità e lungimiranza, proprio come per tanto tempo ha fatto Marco Pannella.
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